Share This Article
“Eat Books” è un album che nasconde ben poche sorprese. Poche sorprese per chi già conosce questo trio, composto da Jochen Schmalbach più i fratelli Ali e Basti Schwarz. Chi aveva già sotto mano (oppure sopra il piatto) alcuni loro 12” o, semplicemente, chi girava tutto sudato per i club d’Europa e si è trovato un giorno questo cd impacchettato sullo scaffale del negozio di dischi non deve avere avuto molti dubbi. Per tutti gli altri “Eat books” può rappresentare un’ottima scusa per cominciare ad ascoltare Tiefschwarz.
Non poteva essere che il 2005 il momento migliore per uscire con un disco del genere. Dodici tracce in cui ogni ascoltatore può cercare, trovare ed infine apprezzare ciò che più lo diletta. Il momento in cui la tech-house più sincera, quella dell’underground berlinese (e non solo), svolta verso quella direzione pop tanto utile quanto scontata nel momento in cui si decide di dare vita ad un album che possa essere in grado di attrarre nuovi ascoltatori senza tradirne i vecchi. Nessuna sbavatura, resistente ad ascolti reiterati, buono per la maggior parte delle situazioni.
“Warning Siren” è un’adeguata introduzione, si avverte la battuta, ma si caratterizza per una vena rock piuttosto lontana dal suono Tiefschwarz più ortodosso. “Troubled Man”, virando verso la techno dei primi Novanta, insinua la sensazione che il meglio debba ancora arrivare. Con “Wait & See” ci avviciniamo a colpi di cassa verso le progressioni tech-house di “Fly”, subito prima di trovarsi alle prese con il vero gioiello pop dell’intero album rappresentato da “Damage”, cantato da una sensuale Tracey Thorn e certamente ai livelli dei più fortunati anthems della house di metà anni Novanta. “Far East”, una delle pocce tracce non cantate, incarna forse la vera natura primordiale del filone da cui provengono i Tiefschwarz, mentre “Artificial Chemicals” ricalca il copione di “Wait & See”, fortemente caratterizzta dalla voce di Chikinki. “Schmetterligsflugel”, cantata in tedesco, è un esercizio di electro-pop contemporanea che potrebbe benissimo essere uscito dal catalogo kompakt, mentre “Benedict” (molto apprezzata da chi scrive) è un vero e proprio pezzo da dancefloor sotterraneo. Segue la cassa decisa di “Wheels of Fortune”, ipnotica quanto basta, tiepidamente interpretata da Ed Laliq. In chiusura due momenti di techno, confezionati seguendo la migliore tradizione tedesca, “Original” e “Issst” chiudono il disco segnandone la complessiva disomogeneità.
Il lavoro nel complesso, come ho detto, suona molto vario e questo credo fosse esattamente l’intento di questi tre campioni della eccitante scena tedesca. Tutto quello che c’è dentro è calibrato bene, anche se, personalmente, fatta eccezione per “Damage”, preferisco tutte le tracce più squisitamente b-side. Su tutte “Far East” e “Benedict” insieme alle due finali. Sono certo che il successo di “Eat Books” può nascere proprio dall’oculata unione di ingredienti diversi che, nel prodotto finale, rivelano la firma inconfondibile degli autori. Inutile mettersi a parlare dell’etichetta più adatta per questo suono: house? Techno? Electro-pop? Ognuno ascolti e poi ci pensi.