Share This Article
Chi scrive ritiene i Radiohead una delle venti cose per cui vale la pena vivere, dunque la recensione di un tributo alla band di Thom Yorke potrebbe essere falsata in un senso o in un altro. “Reato di lesa maestà!”, potrebbe subito denunciare il purista intransigente. “Evviva sempre e comunque la radioheadività!”, esulterebbe il drogato astinente dagli oxfordiani. Cerchiamo quindi di essere obiettivi, che poi tanto non lo saremo – per ovvi motivi di coinvolgimento ed emotività – ma chi se ne frega.
Ebbene, per noi questa raccolta free jazz di cover dei Radiohead è davvero ben fatta. E per certi versi non poteva che essere così: solo dei musicisti di estrazione jazz avrebbero potuto rifare in maniera creativa qualcosa che è già magicamente creativo di suo. Il che sta a dimostrare, anche se non ce n’era bisogno, la complessità delle trame dei Radiohead nelle quali si trova maggiormente a proprio agio chi è avvezzo ai tempi dispari, chi non si perde all’interno di intricate foreste sonore, chi non segue ordinari 4/4 per disegnare piuttosto traiettorie inusuali e trasversali. Canzoni che – vestite in maniera ancora più elegante – non possono che sorprendere di nuovo. E’ il caso di “Everything In Its Right Place” ritrasformata da Osunlade Feat. Erro in una samba carioca coinvolgente, ma anche di “In Limbo” (un 6/4 alternato a 4/4) che, nella versione di Sa-Ra, mantiene la discrasia disorientante pur sopra una direttrice electro o, come viene definita nella presentazione, “odd-space funk”. E se si nomina il funk, grandiosamente si rimane allibiti da come “Just”, un pezzo con un tiro rock stratosferico nella versione originale, sia qui reinventato su un hip hop funky alla Beck. Opera di Mark Ronson con la voce di Alex Greenwald (il cantante dei Phantom Planet… sì, quelli di “California”, ma qui il pischello è bravo…) che ci sorprende a muoverci con il nostro ipod come fossimo James Brown.
Il respiro complessivo del cd è comunque quello jazzato di una “Morning Bell” (The Randy Watson Experience Feat. Donn) meno notturna ma raffinata come una gemma da anello di fidanzamento, preziosa come il future soul della “Knives Out” firmata Waajeed Of Platinum Pied Pipers Feat. Monica Blaire. Smoking di rigore anche per il disordine vigilato e calibrato della “Karma Police” (The Bad Plus) modello serata fumosa in un jazz bar di Manhattan.
E’ evidente, in queste nuove versioni, che più i Radio Heads vanno lontano dall’approccio rock dei “veri” brani, più i risultati sono convincenti. Quando infatti già l’originale ha in sé germi non tradizionalmente ascrivibili al rock, come i fiati liberi di “The National Anthem” (sperimentazione dei Radiohead che è peraltro un omaggio alla loro primissima formazione, quando si chiamavano On A Friday e vi erano anche tre sassofonisti!), la differenza non è poi così marcata e si gode di meno. Per altre ragioni si nutrono dubbi invece su “No Surprises” cantata da Shawn Lee come Tom Jones, “(Nice Dreams)” in una versione banlieu electro-parigina poco coerente, “High & Dry” troppo stucchevole, “Exit Music” della Cinematic Orchestra a cui bisognerebbe dire che non basta suonare gli accordi per rifare una canzone.
Ma non ci si vergogna a dire che ci si è commossi la prima volta che si è ascoltato la dolcissima “Blow Out” di Lo Freq, così come un brivido ha percorso la schiena ascoltando la vibrante voce di Sia nell’intima “Paranoid Android”. Dovendo aspettare ancora qualche tempo per il nuovo dei Radiohead (non ne possiamo più di aspettare… Thom fai qualcosa!) questo “Exit Music” è proprio quello che ci voleva: un buon viatico per spazzare via la malinconia da abbandono e per far da sottofondo al conto alla rovescia che inevitabilmente ci opprime. Facendoci trascendere come solo la musica dei Radiohead ci fa fare.