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L’importanza che certo rock ancora ha nel tessuto epidermico dell’ascoltatore appassionato del ruggito delle chitarre elettriche sta tutta in questo “A Blessing and a Curse” dei Drive-By Truckers. Gli americani sono ormai una vera e propria istituzione della musica a stelle e strisce e in Italia non sono che un fenomeno per i pochi appassionati attenti. Il loro rock, è un mix letale di alt-country di zona Uncle Tupelo, rock’n’roll alla Whiskeytown e il folk che i Jayhawks portarono in giro per il mondo. E questo per citare gente degli anni novanta, perché qui è già tanto se si sente un suono posteriore al 1978. Questo disco non porta né vuole portare cambi di rotta che il gruppo probabilmente non è in grado di affrontare. Si tratta di canzoni che vivono nella loro forza comunicativa fatta di voci sofferte, personaggi sempre in viaggio su cavalcate elettriche ad accordi distorti. Un disco da viaggio, fatto per scappare verso un’aria più pura sull’onda del suo rock’n’roll. Che forse sì, è retorico. Ma se non ci sono motivi per ascoltare più roba del genere, come mai ci sono ancora i classici quattro sfigati di provincia che ci perdono la testa, su ‘ste cose? Ma i Drive-By Truckers non sono un fenomeno da Buscadero. O almeno, non solo. Perché se è su quelle pagine che certo rock può trovare risalto – se parliamo di stampa istituzionale – è anche vero che la band è in grado di costruirsi la propria credibilità sulle canzoni. In un mondo che sembra non veder l’ora di sbarazzarsi di gente del genere, i Drive-By Truckers mostrano come si può fare rock’n’roll senza compromessi. Per loro, gli anni ’70 (quelli di “Darkness on the Edge of Town”, di “Desperado”, di “Live at Fillmore East”), non sono mai finiti.