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Per il sottoscritto l’ascolto di “bubù7te”, esordio ufficiale dei Masoko nella musica che “conta” non è stato accompagnato da alcun ooooh di meraviglia nè da strabuzzamenti d’occhi vari. A leggere a destra e a manca ho avuto modo di scorgere frasi a effetto come “la sorpresa New Wave italiana”, “i buontemponi del revival wave” e chi più ne ha più ne metta, ma queste erano tutte cose che si sapevano da tempo: il mio primo incontro con i Masoko risale infatti al novembre del 2000. Una vera e propria vita fa, visto che ancora veleggiavo sufficientemente lontano dalla laurea, non ero minimamente a conoscenza dell’universo parallelo in cui prospera Kalporz e in televisione non si cercava di dare credibilità ad aberrazioni quali il ponte sullo stretto di Messina.
Mi ritrovai una sera al Sonica, in via Vacuna per assistere al concerto dei Noise from the Cellar e insieme a loro suonavano i Masoko, che all’epoca ancora griffavano i brani come Masoko Tanga e si presentavano in quintetto. Rimasi folgorato dall’approccio ludico ed estremamente professionale messo in mostra da questi ragazzi, cellule impazzite di un panorama rock che in gran parte preferiva donarsi al demone del post-rock, irrigidendosi in posture (spesso ridicolmente) intellettuali. Finita l’esperienza della GASProd i Masoko hanno continuato sulle proprie gambe, e non nascondo l’immenso piacere nel vederli uscire ora per la messinese Snowdonia (quella Messina del ponte che, incrociamo le dita, non sarà mai realmente in cantiere). A conti fatti non esiste etichetta nostrana più adatta per accudire gli schizofrenici singulti di Davide De Leonardis, Alessandro La Padula, Ivana Calò e Simone Ciarocchi di quella pasciuta nel cuore del sud da Cinzia Le Fauci.
Nel corso di questi sei anni il suono dei Masoko non è cambiato di una virgola, semmai si è affinato, parallelamente a una presa di coscienza e a una consapevolezza nei propri mezzi sicuramente riconducibile al deflagrante ritorno in auge su scala internazionale delle sonorità tanto care ai quattro ragazzi capitolini. I quali, al di là di determinate fascinazioni demenziali, del gusto del nonsense e del divertissement mettono a fuoco l’Italia contemporanea con una lucidità a tratti spiazzante. Perché alcune frasi (e basta ascoltare “Comfort”, “Cool” o “Ferrari”) ti fanno rabbrividire tra le risate, perché la nostra penisola è, più che triste o preoccupante, ridicolo, o forse chissà perché.
Resta il fatto che gli undici pezzi, più o meno riusciti che siano (sicuramente da rimarcare “Alfonso” e soprattutto il vecchio cavallo di battaglia “Prima colazione”), appaiono come tante polaroid scattate per congelare la contemporaneità. E, per quanto si senta la mancanza di un paio di brani come “Filosofia” e “Superattico”, non posso che salutare con soddisfazione l’esordio sulla lunga distanza dei Masoko, ex Masoko Tanga. Dopotutto è sembre buono sapere che “ho dei progetti in testa sì, per esempio una rivoluzione. Comincerei adesso ma non ho fatto ancora colazione”…