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Uscito in realtà nel 2004, “Grab That Gun” viene distribuito su larga scala soltanto ora e dopo averlo ascoltato si pensa che saremmo facilmente sopravvissuti senza ancora per qualche anno. Perlomeno si sarebbe potuto aspettare che la “nuova ondata” riportata dignitosamente in auge dagli Interpol chiudesse definitivamente il suo corso e tentare un improbabile effetto sorpresa. Ma probabilmente sarebbe stato ugualmente vano. Perché non esiste una singola nota firmata The Organ degna di essere definita “originale”. Già dall’attacco del singolo “Brother” (ritornello odioso, ma così orecchiabile che lo canticchieremo per tutto il giorno, casualmente piazzato in apertura) è tutto messo spudoratamente in chiaro. Ascoltate quella canzone e avrete ascoltato anche le successive nove tracce che compongono questa mezz’ora di monocorde nenia.
I punti di riferimento (soprattutto The Smiths e The Cure, ma anche un tocco di Joy Division) non si limitano ad essere vagamente citati quanto piuttosto ad ispirare una spudorata quanto scialba fotocopia. Roba che Morrissey dovrebbe prendere questa maledetta Katie Sketch per un orecchio, trascinarla in tribunale e lasciarla con niente altro che una botte per nascondere la sua figura androgina; non soltanto per la sua natura di vergognosa epigona, ma anche per aver appiattito assieme alle sue quattro compari un’eredità da prendere con le pinze.
Inutile citare singole canzoni come esempio. Una qualunque pescata a caso andrà sempre bene. Un solo suono di chitarra, un solo ritmo di batteria, un solo tema di organo, una sola tonalità di voce. Questo è “Grab That Gun”. Se siete amanti della newave e avete soldi da buttare comprate ugualmente qualcos’altro.