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Evidentemente non è proprio una passione passeggera: rievocare i fasti del sound di chitarra dei primissimi nineties per la band di Michael Feerick è molto di più. E per noi amanti di questo corposissimo spessore sonoro, tanto di guadagnato. L’ormai assodata formazione capeggiata dal giovanotto di Nottingham mette in piedi un secondo disco ancora più ambizioso del debutto targato 2004 e lo fa davvero bene. Oltre un’ora di tempesta, momenti in cui si tira il fiato, ripartenze a mille sotto massicci strati di feedback.
Si parte a razzo con la title track “Out of The Angeles” e la voce di Feerick si mantiene in uno stato di alienazione che lascia maggiormente terreno alla furia strumentale, ancora più compatta rispetto all’esordio. Facciamo finta di non sentire i primi venti secondi (e più) di “A Star Is Born”, accenni di chitarre e vocals che più Loveless non si può, e ammettiamo tranquillamente che gli Amusement sono derivativi a più non posso: vogliamo mettere un disco del genere con chi etichettava come nuovi shoegazers i Radio Dept.? La realtà è che la concretezza messa in campo dai nostri ha davvero di che farci godere. E se “In Flight” sembra melodicamente assemblato con diversi pezzi del self-titled, “To the Shade” è un crescendo notevole dove la voce è ancora più apprezzabile e pare voler partecipare non solo come sfondo al compimento dell’opera. Già incontrata “Blackout” nell’omonimo ep dello scorso anno, il finale del disco rifila oltre venti minuti attraverso soli tre pezzi. “Await Lightning” non può non volerci ricordare che un paio di anni fa i My Vitriol si erano affacciati nell’universo musicale con un disco di tutto rispetto: saranno stati anch’essi fonte di ispirazione per Micheal e soci? In questo caso la risposta pare esclusivamente affermativa. “No Lite No Sound” risparmia i suoi colpi pur restando un buon passaggio dove la batteria non lascia un attimo di riposo.
La conclusione del disco, “Cut to Future Shock”, è quanto di più shoegaze venga proposto: chitarre-ammazza-chitarre, distorsioni, feedbacks e una ritmica decisa che alza sempre più il tiro fino allo stravolgimento finale attorno al minuto numero sei, dove tutto crolla schizzofrenicamente in rullate di batteria ed effetti impazziti. Il piano che chiude il tutto, pochi minuti che seguono al vuoto cronico, suggerisce che il caos è finito e torna a splendere il sole. Ma noi siamo sempre qui pronti a farci travolgere un’altra volta.