Share This Article
Una volta andati ad Arezzo Wave l’anno dopo non si può mancare. Ammetto, per me era la prima volta, per cui il mio resoconto è falsato da questa cosa della prima esperienza. Com’è che si dice? “La prima volta non si scorda mai”? Beh, più o meno. Poche volte ho sentito una tale sensazione di libertà: il cazzeggio associato alla musica. Meraviglioso. Gli appunti di recensione si mischiano dunque a percezioni più aleatorie, sentite a pelle, praticamente intuite. Inizio quindi daccapo, o almeno dal mio daccapo.
Il prode kalporziano bardèl che si fuma una sigaretta che pare una canna, anche questo è Arezzo Wave |
Giovedì 14 luglio: sul main stage dello stadio i Liars mi aprono le porte del Festival. Molto tribali, con un’ottima presenza scenica del cantante Angus Andrew, talmente mobile da sembrare tarantolato. La sezione ritmica la fa da padrone, e in molti punti dello show solo la batteria non è sufficiente: i Liars ci piazzano anche delle percussioni con un effetto finale che fa un po’ montagnola bolognese trance. Il pezzo più riuscito dello spettacolo però si basa su una groove machine e un giro ossessivo di basso, quasi a volere attestare che i Liars sono contemporanei pur guardando indietro. Punk-funk su disco, più punk-noise dal vivo. Nota di colore: il batterista Ron Albertson con una sottoveste alla Kurt Cobain. Citazionismo misto musical-modaiolo
È la volta dei British Sea Power, già visti qualche anno fa in apertura agli Interpol i quali non arrivarono nemmeno al quarto pezzo per il batterista infortunato ad un dito, poverino. L’associazione British Sea Power/serata memorabile è quindi come l’Inter campione d’Italia: impossibile. Peraltro il quartetto di Brighton non è indisponente, la loro new wave aggiornata con echi dei Clash è proprio la classica musica adatta per un gruppo di supporto: non male ma si aspetta sempre il gruppo dopo. Qualche finale sonico apprezzabile. Come al solito badano di più al lato scenico: disseminano frasche di alberi dappertutto sul palco, più che dei musicisti potrebbero essere scambiati per dei giardinieri.
Poi, quando sul palco arriva uno sparuto norvegese non ci si aspetta di certo che sarà quello l’artista della serata che ti rimarrà più dentro. È il bello di Arezzo Wave e la sua forza: ti fa scoprire talenti nascosti, di cui mai più sentirai parlare se non avranno un po’ di fortuna ma che tu avrai avuto sì la fortuna di ascoltare in Italia grazie a Valenti. Ecco quindi che Bjorne Berge sorprende con la sua 12 corde che sono come 12 chitarristi. Voce alla Mark Lanegan, solo la cassa continua sotto e tanta, tanta tecnica che tiene calamitata l’attenzione del pubblico di Arezzo Wave. È chiaro come il sole che è un norvegese che vorrebbe essere nato nel Kentucky, ma tradisce la sua fredda origine nelle presentazioni tra un pezzo e un altro. Uno spettatore vicino a noi ci fa notare infatti che parla come un risponditore automatico di un numero verde. In chiusura della sua scaletta Berge piazza “Give It Away” dei Red Hot e una cover dei Motorhead, forse un omaggio a Lemmy che – per problemi di salute – ha dato forfait all’ultimo momento.
Presi alle spalle, i Liars |
Il metal è un linguaggio settoriale, e forse non tutti avrebbero potuto apprezzare i mitici Motorhead. Però loro sono nella storia dell’hard rock, mentre i sostituti – i Linea 77 – sono nei palinsesti di MTV. La differenza pare lampante. In un attimo Arezzo Wave si trasforma nell’MTV day. La carica sul palco non si discute, ma aleggia sul gruppo una vacuità ggiovanile che li potrebbe far assimilare ai Gemelli Diversi con due chitarre elettriche. Certamente sono i portavoce di una generazione, noi abbiamo avuto i Litfiba e i Timoria e in alcuni momenti non è che ce la siamo passata meglio, però l’insegnamento è che ogni generazione ha il suo contrappasso.
Venerdì 15 luglio ci porta, oltre al kalporziano Meale che nell’articolo linkato qui ci parlerà degli artisti di cui non leggerete qui, cioè in questo articolo, o forse no… dicevamo, il venerdì ci porta un gruppo “amico” di Pannella: i francesi Le People De L’Herbe che già dal nome non tengono nascosta la loro filosofia di vita che non è quella bucolica modello “Microcosmos” (“Le people de l’herbe” è anche il sottotitolo del film del ’96!). Trattasi di drum’n’bass dedita all’hip hop interessante anche se il rappare in francese alla lunga francamente è deleterio. Stanca. Il tocco di classe comunque La Gente Dell’Erba lo tira fuori dal cilindro: è la tromba, usata in modo elegante, forse troppo, però la sensazione è quella di un vezzo musicale azzeccato. Dopo la brasiliana Cibelle, un trip-hop delle favelas bello e d’effetto, si passa alla sorpresa, o meglio, alla riconferma: i Soulwax. I migliori. Gli spaccaculo. Iniziano con “E-Talking”, fanno pogare nella canzone più electro (!) “NY Excuse”, passando per “Too Many Dj’s” e “Any Minute Now”, dove hanno qualche problema con la base. Ma l’impressione generale è di una compattezza da far paura, un sano dosaggio di elettrica e elettronica come solo i Radiohead sanno fare. E la differenza la si nota con i Kills: i due si sono conosciuti per corrispondenza e infatti suonano per corrispondenza. Slegati è dir poco. Con la batteria elettronica perdono molto rispetto al cd, dove il sound grezzo alla Velvet Underground è rispettato e dove il blues scarno, in fin dei conti, funziona. Dal vivo invece i Kills ammettono quello che sono: un prodotto costruito, live non si può mentire. Viene bene solo “Fried My Little Brains”, mentre per il resto saccheggiano riff a destra e manca e basta. In certi momenti lui fa Lou Reed, in altri lei fa P.J. Harvey. Deludenti.
Quand’è che finisce questa intervista? Kalporziani contro Stephen Dewaele (Soulwax) |
Concludono la serata sul main stage gli LCD Soundsystem, tanto per far entrare nel clima dell’Electrowave che verrà dopo. E il divertimento sbarca ad Arezzo. James Murphy chiude gli occhi e porta il pubblico in un mondo funk newyorkese suonando con batteria/basso/tastiere quello che su cd era affidato alle macchine. Lo stadio trasformato in una disco all’aria aperta.
Nel Centro Affari e Convegni, una struttura modello Centre Pompidou divisa per l’occasione in tre room, parte quindi la lunga notte dell’Electrowave. Le targhe delle auto parcheggiate ovunque fuori parlano chiaro, qui c’è gente da tutta la Toscana per ballare fino a mattina. La sala più interessante è la Cabaret Electronique, dove si scatenano i Too Many Dj’s con il loro bastard-pop che mai si siede: togli/metti la cassa, sorprendi sempre il ballerino, questi i motti dei fratellini Dewaele e compari. L’ultimo pezzo del loro set è coinvolgente al massimo: “E-talking” come poi verrà consacrata nelle “Nite Versions”. Nella sala Different Beat il dj indiano Talvin Singh è veramente una figata, ma ad un volume insostenibile anche per chi ha alle spalle anni e anni di chitarre elettriche nelle orecchie. La stanchezza avvolge pertanto i nostri kalporziani, che per alcuni momenti indefiniti si stravaccano in qualche sala qua e là. È ora di tornare alle tende.
Sabato 16 è tempo di Miss Sbadiglio, ovvero di Rebekka Bakken(Norvegia). Se Berge si rifaceva agli States più rurali, lei invece sembra uscita da Las Vegas. Comunque una bella voce, corposa, duttile, con qualche accenno di melodie arabeggianti. Nella logica di Arezzo Wave si passa senza colpo ferire all’italianità: arrivano i Negramaro. Chi scrive difendeva, nel mentre, la loro esibizione: pur non essendo trascinanti come, ad esempio, i Subsonica, davano l’impressione di essere alle prese con il Corso-Da-Gruppo-Italiano-Di-Riferimento-Del-Pop-Rock e di stare apprendendo abbastanza bene, pur senza una reale forza innovativa. Ci si è poi ritrovati davanti altre volte i Negramaro dal vivo, e si è dovuto convenire che provocano una distrazione immediata e necessitata. Non sono poi la persona giusta per raccontare Antony: mi ha affascinato, ma ci sono altri che lo vivono di più e possono raccontarlo meglio.
Ci viene la lacrimuccia, perché la domenica bisogna partire. Siamo abituati a vedere gli Aprés La Classe al Fuori Orario di Taneto di Gattatico dove tutti si esaltano e non si sa se questo è un effetto locale oppure generalizzato. “La seconda che ho detto”, dato che anche qui ad Arezzo Wave il gruppo salentino fa ballare tutti, ma veramente tutti. E se si crede che il rock italiano non dia più nulla, allora ci si ricreda grazie ai Perturbazione: godibilissimi, la risposta intelligente del rock melodico italiano rispetto ai Negramaro della sera prima. “Agosto” è una hit. Ma non siamo ad agosto, in realtà siamo al 17 di luglio e ci perdiamo gli Afterhours perché ci incamminiamo verso il ritorno. Ce li sentiamo per radio, e capiamo che l’emozione che aleggia sopra Arezzo Wave passa anche attraverso l’etere, è davvero vera. Non importa che ci siano gruppi che ti piacciono più o meno: l’importante non è il particolare, ma il generale. E in generale Arezzo Wave offre di tutto (e non abbiamo parlato di ComicsWave, ClassicWave, TeatroWave, CineWave e chi più ne ha più ne metta!) regalando un impagabile senso di libertà. Il prossimo anno torniamo, promesso.
(Paolo Bardelli)