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Lo ammetto senza particolare vergogna: credo che la partecipazione a un festival sia quanto di più gratificante esista per l’esegeta di questa o quell’altra arte. Personalmente sono un animale da festival, cinematografici o musicali che siano, e mi sento molto a mio agio in questa veste. Vista e considerata la mia predisposizione come non innalzare dunque peana verso l’Arezzo Wave, kermesse musicale storica del suolo patrio, visto che ha oramai raggiunto e superato la maggiore età? La diciannovesima edizione di questo evento ha rimarcato ancora una volta, qualora ce ne fosse stato bisogno, la totale volontà di aprirsi a tutto ciò che il panorama musicale internazionale può regalare. Scelta come al solito encomiabile, e che rende ancora più ricco il calderone della proposta, capace di passare dai gruppi “regionali” fino ai grandi nomi della musica internazionale passando per fenomeni che altrove e senza cognizione di causa avrei probabilmente definito da baraccone come i 127, gruppo rock iraniano.
Offlaga Disco Pax come gli aperitivi, promossi |
Ecco, fondamentalmente l’intera forza dell’organizzazione sta proprio nella scelta di mandare sul palco a ridosso del Prime Time questi ragazzetti di Teheran; non perché abbiano acceso fiammelle di perdizione amorosa nei cuori degli ascoltatori, ma perché per varie e mai del tutto razionali ragioni siamo portati, tutti noi ascoltatori occidentali, a vivisezionare il corpo della musica contemporanea trovando organi vitali solo a ridosso di zone geografiche a noi particolarmente note – certo, mi verrà obiettato che il Giappone ha trovato una notevole cassa di risonanza anche da noi nell’ambito rock, ma dovrei allora specificare come occidente non sia da intendere nella sua accezione puramente geografica, ma bensì in una più articolata e obbligatoria planimetria economica -, e allora c’è forse realmente bisogno di scoprire come ovunque si possa nascondere una sorgente di pop, rock o quant’altro. Verrebbe da dire che “tutto il mondo è palese”, visto che queste sorgenti non sembrano poi neanche troppo nascoste, ma passiamo oltre.
Arezzo è una piccola cittadina, tipica della zona in cui sorge, ed è oramai abituata all’assalto all’arma bianca del festival, quindi l’invasione umana che la caratterizza non sembra minimamente intaccare la regolarità della vita quotidiana. E sì che per far fronte ai desideri omnicomprensivi dell’organizzazione – festival musicale, ma con digressioni nel cinema, nel teatro, nel fumetto e via discorrendo – i palchi sono dislocati un po’ ovunque. Sul colle del Pionta si ha la possibilità di assistere ai concerti del mattino (Wake Up Stage) e del primo pomeriggio (Psycho Stage), in piazza S. Iacopo ecco arrivare la musica classica con il Classicwave, in via G. Monaco prende vita il Cabawave e in via Bicchieraia il Teatrowave, per poi concludere in bellezza la serata all’interno dello stadio comunale dove si tengono i concerti del Main Stage. A voler seguire tutto c’è da scarpinare, e non poco, quindi conviene forse prediligere un avvenimento e seguirlo dall’inizio alla fine. Cosa che ha fatto il sottoscritto in compagnia di Luca e Paolo; ci siamo immersi totalmente nella vita musicale senza lasciarci corrompere dalle sirene delle altre arti, con due eccezioni, la conferenza stampa di presentazione dell’albo di Max Wave, seguita (ahimé) solo per poter prendere parte al pranzo seguente, e lo spettacolo teatrale “Cecafumo” di Ascanio Celestini, tra gli autori più interessanti della nuova scena nazionale, messo in scena nel pomeriggio di Sabato 16 al Word Stage. Quindi, tirando avanti grazie a bibite energetiche e aperitivi rock a sovrastare il palco, ci siamo pappati buona parte del programma musicale, compreso un tour per curiosare all’Elettrowave, discoteca allestita per l’occasione nel Centro Affari e Convegni della città. La musica era incessante, la folla entusiasta, ma io ero decisamente troppo stanco (venivo da un viaggio affrontato in treno alle 6 di mattina) e sono crollato quasi subito. Peccato (?).
1) Hanno esplulso Totti; 2) Sono finite le salsicce; 3) I Negramaro fanno il bis |
Rapidamente, le cose che mi sono piaciute:
– Su tutto, lo splendido concerto tenuto da Antony e dai suoi Johnsons; un’ora e tre quarti di pura arte cristallina, immateriale e ammaliante. Quest’uomo è veramente un superuomo, nel senso più stretto di superamento dell’umanità…
– Il già citato spettacolo teatrale di Ascanio Celestini e la seguente chiacchierata; avevo avuto già modo di assistere a “Cecafumo” e ad altri suoi spettacoli – valga per tutti la citazione dello splendido “La fabbrica” – ma vederlo agire al di fuori delle materne mura romane e capire definitivamente quanto il suo discorso non sia puramente regionale me lo ha fatto apprezzare ancora di più.
– Il breve ma intenso set degli oramai già mitici Offlaga Disco Pax: il loro socialismo tascabile è l’argent de poche (da non intendere nel senso reale di “paghetta”, ma nel suo aspetto più metaforico, piccolo ma essenziale mezzo di sostentamento) del 2005.
– L’altrettanto breve e intenso set dei Bachi da Pietra: sono un ammiratore sia di Giambeppe Succi che di Bruno Dorella, e vederli insieme sul palco intendersela a meraviglia non può che far del bene al cuore.
– Gli LCD Soundsystem e i Vic Thrill & the Saturn Missile: non perché si assomiglino, ma semplicemente perché sono stati due concerti tra i più divertenti (e i secondi sono stati anche la mia più grande sorpresa)…anzi, facciamo che ci aggiungo anche i Soulwax, per i quali non ho l’adorazione che vi regalerà Paolo ma che sono tutto tranne che da buttare via…
– Lo spazio salvifico degli aperitivi rock, lassù a dominare il palco principale. Lo so, non è appropriato chiudere una lista delle memorie positive di una kermesse musicale eludendo così dalla materia, ma chi c’è stato potrà sicuramente capirmi…
Ancora più rapidamente, le cose che non mi sono piaciute:
– Il Live dei Kills. Avevo già molti dubbi sul loro reale valore, e questa esibizione baracconesca e ridicola non ha fatto che renderli sempre più tangibili. Il duo anglo-americano è una delle più grandi bufale che il popolo rock degli ultimi vent’anni possa ricordare. Evitateli, con tanta tanta cura…
– La “povera” Rebekka Bakken, e non soltanto perché la sua esibizione mi ha lasciato profondamente freddo e distante, no…più che altro perché non rientrava in nessun modo nei canoni del festival. Bella voce, per carità, ma poi cos’altro resta?
– I Negramaro. Adatti a un Festivalbar – dove poi in effetti sono approdati -, non ad Arezzo Wave. Noiosi, mai coraggiosi, sono stati l’unico gruppo a riempire in lungo e in largo lo stadio. Se il buongiorno si vede dal mattino per il rock nostrano si profilano giorni di tregenda.
– L’essermi perso le Yumi Yumi, duo giapponese basso/chitarra più orsacchiotto alla drum machine. Mi sono passate sotto il naso Venerdì al Wake Up Stage e Sabato sul palco principale, ma in entrambi i casi ero altrove. Peccato.
– E per chiudere l’unico vero appunto all’organizzazione; lo spazio per cenare posizionato all’interno dello stadio è stata la più grande delusione del festival. Vabbè che qui nessuno di noi è ancora diventato redattore del “Gambero Rosso”, però spacciare per cena quei quattro intrugli a base di qualsiasi cosa è veramente un insulto alle intelligenze. Per fortuna c’era vino in quantità…
Insomma, un festival da ammirare e far prosperare quello che ha sede ad Arezzo, e che ora andremo a sviscerare giornata per giornata.
“Se volevo parlare con un romano me ne stavo a Roma” |
Come ha già scritto Paolo (vedi articolo) sono arrivato, accolto da tappeti di fiori alla stazione di Arezzo a un orario che preferisco dimenticare, Venerdì 15: dopo aver recuperato l’accredito stampa siamo, io e gli altri due kalporziani, andati a gustarci lo Psycho Stage, dove siamo incappati nei Switch Over & Lafayette, o meglio in un tizio che si è detto l’unico superstite. Un set acustico non troppo convincente e dal quale è stato impossibile capire se il giovanotto si farà o meno. È stata poi la volta dei Bachi da pietra, per una mezzoretta a ritmo sostenuto, senza pause, con quegli schizzi di blues immersi nel rumore che ti prendono e ti trascinano via. Notevolissimi. La sera, dopo aver intervistato i Soulwax e aver rischiato di fare lo stesso con gli Lcd Soundsystem, eccoci approdare davanti al palco principale. Dei 127 ho già detto tutto quel che c’era da dire, degli altri vi parla Paolo e quindi io devo soffermarmi “solo” sugli Lcd Soundystem. Qui si balla ragazzi! Eccome se si balla! La spinta propulsiva del disco è sparata fuori para para per sfiancare i pochi superstiti dello zompa e ascolta proposto dai Soulwax, con una versione subdola e inadatta ai malati di cuore di “Daft Punk is Playing at My House” che ancora mi rimbomba nella capoccia. Non avranno raccolto tutti la folla oceanica che avrebbero meritato, ma chi c’è stato dubito si sia abbandonato alla noia. Il funk del terzo millennio passa da qui, e guai a chi perde la coincidenza…
La mattina dopo, Sabato 16, ci facciamo vivi al concerto degli Offlaga Disco Pax, e prima facciamo la conoscenza dei Poa, gruppo molisano. Io, che ho i nonni paterni nati in quelle lande, mi sono quasi commosso, anche se musicalmente non c’era nulla per cui smuoversi particolarmente nelle emozioni. Ma tant’è… dicevo degli Offlaga Disco Pax: all’epoca era la prima volta che li vedevo dal vivo – nel corso dell’inverno l’evento si è ripetuto tante e tante volte – e sono rimasto estasiato dallo spettacolo messo in scena per poche centinaia di persone che, nonostante il sole a picco e il calo degli zuccheri, si sono lasciati trascinare in una danza deforme e dal sapore socialista dall’incessante incedere di “Robespierre”. Mitici.
Finita la mattinata e accaparrato il pranzo offerto dal festival, tra la musica e il teatro puntiamo le nostre fiches sul secondo e ci affidiamo all’eloquio intelligente ed etnografico di Ascanio Celestini, che porta al festival il suo “Cecafumo”, serie di racconti popolari interpretati con quel suo stile colloquiale, dalla chiara influenza romana, che da pochi anni a questa parte stanno imparando a conoscere anche nel resto della penisola. Divertente, spiazzante, mai banale, il suo teatro ti lascia sempre con l’impressione di aver imparato qualcosa di nuovo. Anche se non è vero…e ditemi voi se è poco.
La sera per quel che devo dirvi io inizia con Vic Thrill & the Saturn Missile, ovvero la wave che si fa surf che si fa pop che si fa Pixies Sound che si fa rumorismo che si fa. Insomma, tutto quello che avreste sempre voluto sapere sul rock americano e non vi era mai capitato di incontrare in un gruppo solo. In una parola: divertenti. Uno show bislacco, ma profondamente rock, qualsiasi cosa questo termine stia a significare per voi…qualora vi capitasse di incontrarli nelle vostre città non esitate e andateli a vedere, vi assicuro che ne vale la pena.
E chiudo questa giornata, e anche questo resoconto – perchè, così come sono arrivato, me ne sono ripartito a un orario troppo mattutino per poter essere ricordato – con l’apice di tutto il festival, ovvero Antony. Accompagnato dai suoi Johnsons ha prodotto un’ora e mezza da lasciare senza fiato, appoggiato al suo pianoforte con quella posa vagamente deforme che lo rende ancora più fragile, come se non bastasse la sua voce angelica in balia degli eventi. È riuscito anche a portarsi dietro, come il pifferaio di Hamelin della celeberrima favola, tutti gli adolescenti venuti a lanciare baci e lacrime ai mediocri Negramaro, rapiti e ipnotizzati da quelle scale musicali (ottima la band che lo accompagna) ma soprattutto da quella voce impossibile da concepire, eppure viva, decisamente viva. Me ne vado da Arezzo con il suo concerto negli occhi e nelle orecchie, e sono felice. C’era chi disse “Arezzo mi attrezzo per il tuo disprezzo”, ma non è questo il caso…a presto, Love Festival.
(Raffaele Meale)