Classico esempio di disco che cresce con gli ascolti. Anche se fa un po’ ridere tale definizione, perché “Voodoo Shoppe” non è certo “Bitches Brew” o un disco di Robert Wyatt, ma rock americano che nasce dall’underground degli anni ’80 e ’90. Sarà strano, ma se ad un primo ascolto quasi si vorrebbe spegnere lo stereo e gettare via il disco, al secondo siamo già in territori di stima e al terzo si capisce l’errore madornale che si stava per fare. Quello che fa veramente ridere, è che il cd è stato prodotto da Russ T. Cobb, che ha lavorato anche con Avril Lavigne. Strano quindi sentire al suo interno questo rock che oscilla tra i primi Goo Goo Dolls (quando ancora si divertivano a fare i Replacements educati) e i Weezer dell’esordio. Niente di veramente memorabile mi si dirà, ma questo nuovo disco dei Cowboy Mouth si ascolta con piacere e le canzoni non tradiscono mai lo spirito originale di una band attiva ormai da dieci anni. Niente paraculate o occhiolini per aspirare ad un posto al sole (insomma, quei Goo Goo Dolls di cui sopra hanno pur sempre fatto “Iris”…). Il solito coerente rock’n’roll che in Italia ascoltano ed ascolteranno sempre in quattro gatti.
Se potessi ripercorrere in un attimo, nuotando controcorrente, le rapide di questo fiume oramai giunto al suo estuario, nella estrema fissità di questo mio prossimo viaggio nella noia orizzontale, sceglierei gli anni in cui la volta celeste non era altro che un enorme lenzuolo fatto a cielo e la luna una palla polverosa gettata nel vuoto e catturata con le unghie dall’egoismo del pianeta Terra. E noi, bimbi, cadevamo con essa per sempre, aggrappati in un infinto sprofondo gli uni agli altri, grazie a un gomitolo di lana nera. I grandi dimenticarono in fretta di avere un mondo con certe stelle enormi, sopra il capo, da osservare, mentre noi sacrificavamo la nostra noia migliore per costruire ponti sospesi nello spazio che ci allacciassero a un’agognata luna. La dipingemmo butterata e funesta, con maremoti sulla superficie di un ponto che non era mai tranquillo, ma tutta una schiuma fremente di gorghi e mostri marini. Nuovi esseri di ordinaria malinconia calpestavano un tappeto soffice come zucchero filato sparso su una teglia, in cui si radicavano piante cresciute dolci come torroni. Altre volte immaginammo un balzo da gigante come in mongolfiera, le tante mongolfiere tipiche di una domenica d’estate, un balzo che ci consentisse di fuggire all’avarizia terrestre e alle sue costrizioni. In anni in cui razzi enormi arrugginivano in volo, pensammo a uno sgangherato proiettile cavo sparato negli occhi della luna come nei film dei Meliès, in cui potessimo accovacciarci per il viaggio, assieme ai nostri migliori amici. Ma poi venne il tempo di un leggero disincanto, e, anche sognando a occhi aperti, non potevamo far altro che immaginarci tute e scafandri e missili scagliati a violentare qualche nuovo cielo. E poi, al ritorno, schivare incredibili uragani e tempeste, per posarci placidamente in un mare che ci accogliesse come un telo.
Eravamo certo molto giovani e molto felici e pensavamo, con rabbia, di non dover invecchiare mai. (Matteo Marconi)Le puntate precedentiBack To The Future Vol. 9 - Stuart Adamson morì nel 2001 e nessuno ne parla piùBack To The Future Vol. 8 - I Vines e il Verona dell'84-'85Back To The Future Vol. 7 – “I figli degli operai, i figli dei bottegai!” Back To The Future Vol. 6 - Ekatarina Velika (EKV) Back To The Future Vol. 5 - Gli Air sul pianeta VegaBack To The Future Vol. 4 – “Stay” e gli angeli degli U2 Back To The Future Vol.3 - La lettera dei R.E.M. e di Thom YorkeBack To The Future Vol. 2 – Massimo rispetto per i metallari (1987-89)Back To The Future vol. 1 – L’estate di Napster 14 settembre 2010
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