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Non capisco. Sarà un mio limite, o forse mi faccio troppe domande, ma non capisco. Che senso ha cambiare cantante per poi scegliere una nuova vocalist con lo stesso identico timbro, lo stesso piglio, lo stesso ricadere nelle identiche modulazioni? E ancora: che senso ha mantenere il nome della band, quando questo nome si doveva proprio alla cantante che ha lasciato il gruppo?
Questioni di secondo piano, direte voi. E invece no. Perché “Onda” fa di tutto per fuggire dai “vecchi” Fiamma Fumana, e finisce col farceli rimpiangere. “Onda” sembra frutto di un compromesso: da una parte accontentare il circuito world internazionale che ha tributato ai FF un certo riconoscimento, e dall’altra accattivarsi le classifiche di qui, creando con lo stampino alcuni brani marcatamente pop, innocui e leggeri, e con quel tocco etnico che dovrebbe differenziarli dal resto. E così, “Onda” rimane sospeso a metà. Nonostante la pletora di ospiti (MC Navigator degli Asian Dub Foundation, i Transglobal Underground, Gianni Maroccolo, Cisco in fuga dai Modena City Ramblers, le splendide Mondine di Novi e perfino Jovanotti al suo minimo storico). Nonostante Peter Walsh, il mago dei “Real World Studios” di Peter Gabriel. Nonostante un uso più variegato dei beat e la produzione diversa dal solito, che fa percepire nettamente tutti gli strumenti.
C’è più passione in una sola nota dei brani tradizionali che in tutti i brani più pop del disco (la title-track concepita come una battaglia hip-hop, la vuota “Check in” o l’adolescenziale “Mondo grande”), e anche il remix “di prestigio” dei Transglobal Underground di “Immagina” assomiglia a un compitino riassuntivo di electro anni ’90, in viaggio tra profondità dub e drum ‘n’ bass rallentato. Ciò che resta di buono dei brani originali della band, alla fine, sono il ricordo di una strage nazista nella toccante “Strade d’Appennino” e la danza con i propri fantasmi di “Immagina” (che sarebbe stata bene sul prossimo disco di Fiamma, e infatti è l’unico testo a portare la sua firma). Un po’ poco.