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Se li si ascolta per la prima volta, i Mates of State, ci si immagina un collettivo festoso di amici freak con la passione per un pop smaccatamente sixties fatto di intrecci di voci, abbondanti coretti che ti instillano il buon umore e il recupero di quelle tastiere anni ’80 ad apportare un po’ di malinconia all’impasto. No, non sono i New Pornographers. Semplicemente perchè i Mates of State sono solo in due, i due che vedete in copertina: una dolce coppia sposata, due voci, lei al suo fido organo Yamaha e lui alla batteria. Si potrebbero tirare in ballo diversi nomi come Quasi e Death Cab For Cutie e asserire che la voce di kori Gardner non fa che imitare i vocalizzi à la Neko Case. Ma è sorpredente quanto, in tutti questi anni, i Mates of State abbiano maturato uno stile personale. Difficile quindi buttarli nel calderone dell’indie pop del nuovo millennio o etichettarli sbrigativamente.
“Bring It back” è il loro quarto lavoro, e se proprio volessimo definirlo con un paio di paroline abusate, pop sperimentale sarebbero le più appropriate. Definizione ossimorica, certo, ma calzante; perchè le due voci si sovrappongono e si alternano come in un campo e controcampo cinematografico, innestandosi in una ragnatela di frasi ipnotiche di piano e dando spessore e profondità al suono. Un lavoro minuzioso che parte dalla presa di coscienza che la voce può essere usata come un vero e proprio strumento; un risultato che, nonostante le differenze stilistiche, chiama in causa il pop “matematico” dei Pinback di “Summer in Abaddon”.
In “Bring It Back”, come nei lavori precedenti, i Mates of State danno poco conto alla struttura classica della canzone pop e spesso si abbandonano a intensi e interminabili crescendo di voci, come nell’open track “Think Long”. C’è poi l’organo in primo piano per un singolo accattivante e ironico, “Fraud in the 80’s”; echi dei Fab Four in “What it Means”, grinta e spensieratezza da vendere in pezzi come “Beautiful Dreamer” e “For the Actor”, in cui una timida tromba fa capolino dagli invadenti strati di tastiera. Non può quindi mancare il momento da lacrimuccia, l’invidiabile ballata pianistica dedicata alla figliuola dei due, “Nature and the Wreck”.
Dieci tracce che mantengono uno standard qualitativo decisamente alto: difficile infatti trovare l’anello debole del disco, perchè passano i minuti e si giunge a una “Punchlines” 100% New Pornographers e alla conclusiva “Running Out”, pezzo forte oltre che furbetto, che riassume a dovere la cifra stilistica della coppia americana e si lascia ricordare per una coda che sembra non finire mai e ti culla con l’abbondante ripetersi delle parole “tired of singin’”. E quando i Mates of State si saranno definitavamente stancati di cantare, a voi rimarrà la voglia di premere play again.