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E’ difficile spiegarsi come mai musica del genere non arrivi alle masse, o meglio, è semplicissimo: tutti conosciamo le regole del mercato e non sarà un’altra filippica, che in questo caso vi risparmio, a cambiare le cose. Sta di fatto un disco così, gradevolissimo miscuglio di dream pop, slow core e spunti di elettronica, non ha niente da invidiare a chi, come i Sigur Ròs, han conquistato una fama planetaria con le loro ammalianti (e, se abusate, ammorbanti) atmosfere. Inoltre, a chi usa i folletti islandesi come sottofondo per i momenti più intimi con la propria metà, un po’ di movimento in più non guasterebbe neanche: si rischia di addormentarsi e una cilecca non è proprio indicata in questi casi.
Il duo Christian Savill (ex chitarra degli Slowdive) e Sean Hewson – con il prezioso contributo vocale di Rachel Staggs – giunge al terzo disco e offre probabilmente la prova migliore: il loro pop intarsiato di melodie e gusti retro ricorda da vicino i bellissimi Zephyrs in pezzi come la fluttuante “The Impossible” o la seconda “Vanishing Act”. Elettronica e drum machine si fanno largo spazio in “Driving Through the Red Lights” o nella sfacciataggine di “Vertical Planes” mentre non mancano intermezzi di piano o chitarra acustica che contribuiscono a dare a questo disco la giusta varietà di suoni tale da rendere l’ascolto ben più che gradevole. Le note di “#3” accompagnano in un viaggio a metà tra un attraversamento dello spazio e un trip psichedelico; “Run to the Heart of the Sunrise” si apre invece con una carica decisamente più rock, per poi giocare in bilico tra strofe quiete e ritornelli convinti ed orchestrali. Tralasciando la penultima traccia “Vertical Planes”, elettronica fine a sé stessa il cui impiego non convince nell’economia della tracklist, si chiude in bellezza con la lunga malinconia di “Falling into the Sun”: una tela caldissima dove vengono gettati piano e chitarra a sostengno della struttura su cui poggiano le due voci. Un vero peccato ignorarlo.