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Tra tutti i gruppi che in Italia cercano di riproporre gli scenari di una certa scuola di pensiero della musica rock americana, i Mosquitos sono quelli che riescono a farlo con la maggior perizia e passione. Per quello che è il loro terzo disco – segue “Electric Center” del 2004 e “I Only Use Guns Whenever Kindness Fails” del 2002 (senza contare due ep di cover) – la band si allarga, passando da tre a cinque elementi, includendo anche Sandro Martufi – chitarre – e Simona Fanfarillo – tastiere – e cambia lievemente le coordinate del loro suono, passando dagli scenari desertici e psichedelici ad un rock’n’roll viscerale e, per certi versi, più urbano. Ma quello che non cambia è la capacità di raccontare storie di frontiera al confine tra definito ed indefinito, legalità ed illegalità, giorno e notte, nella tradizione propria di quel Stan Ridgway che i Nostri omaggiano partendo dalla loro ragione sociale.
Più Dream Syndicate e Gun Club, meno Calexico e Giant Sand quindi. Il suono resta ruvido ed abrasivo e sa graffiare anche quando i ritmi si fanno più ammalianti (la dolente “Kill The Chief” e la bellissima ballata “Nice At Night”, posta in chiusura). Ma è quando la band preme sull’acceleratore che rende al meglio: “The Guns And The Bombs”, “Zed” – con quel retrogusto di giorni del vino e delle rose da urlo… – la banditesca “There Is A Shade”. E ad ascoltarle a ripetizione viene in mente il solito vecchio adagio. Se queste canzoni fossero americane saremmo qui a cantarle tutti i santi giorni. E invece vengono dalla ciociaria. Da Frosinone. Una città che non riserva buoni ricordi per i tifosi del Toro (il nome Giovannone ricorda qualcosa?), ma da dove proviene una delle band che più di ogni altra dobbiamo tenerci stretta. Da bullarsene con gli amici. Perché “Ventilator Blues” colpisce dove deve colpire. E fa un centro perfetto.