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Non mi piace particolarmente la parte del gufo. Se l’anno scorso ho messo in discussione l’esistenza di Spaziale Festival era solo per la depressione degli addetti ai lavori e dei “dietro le quinte” nei confronti di una risposta del pubblico miseranda, se paragonata al sempre ottimo cartellone. Mi sbagliavo e sono felice per questo. Nonostante anche quest’anno l’atteso pubblico delle grande occasioni abbia disertato, preferendo quattro calci al pallone e risparmiare soldi da spendere in beveraggi ai prossimi concerti gratuiti di Caparezza e Manu Chao. Perle ai porci, questi Mogwai, questi Gnarls Barkley, questi Adam Green, questi Editors. Torino non si merita il rock’n’roll, si dice. E mentre i soliti quattro gatti – io, Daniele Boselli, uno che fa le foto e Carlo Bordone del Mucchio Selvaggio – si intristiscono per quella che sembra la più bruciante delle verità, gli altri continuano a vivere la propria vita dicendo che a Torino non suona mai nessuno e meno male che fra un po’ arrivano gli Strokes e i Franz Ferdinand e, sopratutto, Manu Chao… wow! Che bello! Che storia! Passa ‘sta canna!
Giovedì 29 Giugno
Il battesimo del fuoco spetta ai Fine Before You Came, emo-rockers del belpaese che la buttano in caciara con un set rock’n’roll a volumi aspri e senza nessun compromesso. Math-rock mutante e urla da struggimento post-adolescenziale. Funzionano e il pubblico dei Mogwai sembra apprezzare. Cala il sole, le zanzare si fanno fameliche e i 65daysofstatic decidono di guadagnarsi la palma di migliori in campo. Un set tirato, potente, teso, con le chitarre che ululano acuti minacciosi e la batteria che pesta geometrie claustrofobiche. Rodan + Slint + Wire + mammamiachecazzodivolumichehanno! E va bene così. Molto meglio dal vivo che su disco. Non lo stesso posso dire dei Mogwai. Ormai si limitano ad un set convenzionale, manierato, ammaestrato. Le chitarre non chitarrano. Le esplosioni strumentali non esplodono e il loro post-rock dovrebbe ormai essere chiamato past-rock. Non convincono nonostante “Mogwai Fear Satan”. Mogwai fear loudness, piuttosto. Per un gruppo che punta tutto sull’impatto – vista l’arte che propagano sempre uguale a sé stessa da ormai sei dischi… – siamo dalle parti della tragedia. Il pubblico sembra apprezzare, però. E millecinquecento presenze per la prima giornata fanno pensare che forse questo sia l’anno buono. Non fosse altro che il giorno dopo ci sarebbe stata Italia-Ucraina.
Venerdì 30 Giugno
Si vede che il cantante dei Les Fauves vorrebbe stare da tutt’altra parte. Magari davanti ad un televisore. Capirai, dopo 5 minuti Zambrotta ha già segnato e i trenta poveri sfigati che hanno preferito vedersi tre concerti anziché una partita dall’esito già scritto aspettano un po’ di rock’n’roll. Cosa che non arriva. Questo perché nell’anno che separa il mio primo concerto dei Les Fauves – Benicassim 2005 – la band è peggiorata. Peggiorata di brutto. Da promettente stella di rock loud & proud si sono trasformati in un gruppetto senza nulla da dire se non un paio di ritmi danzabili buoni giusto per cercare di farci due euro. Sempre danzabili ma nella maniera patinata che li contraddistingue, i Whitest Boy Alive: nuova creatura di Erlend Oye, qui intento al pop-easy listening un po’ alla Phoenix. Carini e tutto quello che volete, ma quei pezzi con cassa in quattro da Martini sul bordo di una piscina in Sardegna dopo dieci minuti scazzano. Figuriamoci dopo quaranta. Fortuna che ci pensano i Gnarls Barkley. I quali, da buoni professionisti, se ne sbattono degli appena trecento paganti e scaricano una valanga di good vibration di soul psichedelico in salsa Funkadelic e pop che più pop non si può. Fanno pure una cover di “Gone Daddy Gone” dei Violent Femmes e potrebbe essere il live più coinvolgente del festival. Peccato che ad ogni lampo di luce si notano gli imbarazzanti buchi tra il pubblico. Muovere la testa fa poca differenza, anche se è stata una grandissima ficata.
Sabato 1 Luglio
Adam Green is the man. Dove lo trovi un uomo di spettacolo così fantastico? Danza, canta, suona, si diverte, fa divertire e, per di più, è palesemente ubriaco. Che bello. E’ una persona che scrive canzoni fantastiche e dal vivo non sono né più né meno di quello che ti aspetti. Solo che la sua presenza scenica è abbagliante: un crooner satanasso del terzo millennio che fa salire gente sul palco per fare i cori, che suona fino a quando non lo portano via di peso, che si sente in totale libertà sul palcoscenico come se fosse il teatro della sua vita. Un concerto che si staglia nel ricordo dei duecento spettatori della serata. Quegli stessi spettatori apparsi un po’ affaticati dall’impegnativo wall of sound e dal rap urbano e pesantissimo di Dalek. Gli stessi che hanno apprezzato l’ardito – e, ora come ora, assolutamente fuori fuoco – Teatro Degli Orrori, progetto parallelo di One Dimensional Man e Super Elastic Bubble Plastic. Caciara e speaking poetry tra comunismo e barbarie. Per gli organizzatori, la serata “debole”. Per il sottoscritto, una serata memorabile. Per tutti gli altri boh: figurati se sanno chi è Adam Green.
Domenica 2 Luglio
E si conclude col botto degli Editors. Non bissano i millecinquecento dei Mogwai, ma nemmeno i clamorosi flop delle altre due sere. Poco importa. Farebbero schifo comunque, anche al Madison Square Garden. Il problema degli Editors è grande come una casa ed ha un nome: Ian Curtis. Durante il concerto ci si diverte a canticchiare pezzi a caso dei Joy Division per vedere cosa succede. Sono perfetti. Anzi, sono loro. Ma è un giudizio parziale: se gli Editors piacciono, dal vivo piacciono di più – per lo meno sanno tenere il palco – ma se non piacciono allora è la fine. Ad un certo punto sono andato a sedermi su una sdraio, ma erano comunque fastidiosi. Eppure piacciono. Molto meglio gli Ok Go, che almeno non sono pretenziosi, fanno un buon indie-rock e, soprattutto, fanno piegare dalle risate sul balletto di “A Million Ways”. Gli Hot Gossip invece, suonano il loro rock’n’roll abrasivo senza farsi notare. Bene o male, indifferenti. Quello che si nota però, è l’assenza dei Midlake. Problemi di organizzazione gli han fatto annullare il tour estivo. Peccato. Si rimanderà in autunno. Noi invece rimandiamo all’anno prossimo. Perché Spaziale si farà sempre e comunque. E se non verrete, non avrete scuse. Se a Torino non fanno mai un cazzo è solo perché siete troppo pigri per uscire di casa ed informarvi su cosa succede in giro. Tanto la prossima volta che ci incontreremo in un negozio di dischi, mi direte che gli Strokes sono stati fantastici e che avete visto il futuro del rock’n’roll e il suo nome è Franz Ferdinand. Uno che è morto nel 1914.
Ah, dimenticavo. Non appena gli Editors lasciano il palco per far smontare tutto, parte in filodiffusione “Transmission” dei Joy Division. Il momento migliore della serata.