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E’ prassi comune offendersi a morte quando un artista fa una cover brutta di una canzone dove hai lasciato il cuore. Come da copione, l’ascolto di questa “Thunder Road” è una fitta. Una bestemmia. Non ha nemmeno senso parlare di sacrilegio o di provocazione. E’ brutta e basta. Privata della sua intensità e riempita degli inutili orpelli elettronici dei Tortoise, ormai all’avanguardia come potrebbe esserlo un emulo di Pat Metheny. Sulla carta sembrava sì un esperimento interessante, ma se non ci fosse stato non se ne sarebbe sentita la mancanza. Perché certo, è un brutto disco, ma è talmente inutile che non si sente nemmeno la necessità di parlarne male. L’unica vera delusione è sentire un Will Oldham di secondo livello mettere le voci su arrangiamenti di post-rock-fusion-da-supermercato dei Tortoise.
Sembra quasi una normale giornata di lavoro impiegatizia per tutti. Non c’è passione. Sembra tutto fatto perché si doveva fare, usando dei rimasugli sperimentali – un termine che ora come ora fa vieppiù ghignare – e buttando qualche linea vocale senza nemmeno la preoccupazione di risultare credibile. Ma non è solo il discorso di “Thunder Road”. C’è lo stupro violento di “Daniel” di Elton John, c’è l’inutile distorsione di “Cravo é Canela” – brano della tradizione bossa di Milton Silva – e altri emblemi di manifesta inutilità come la “(Some Say) I Got Devil” di Melanie Safka – trasfromata in una love songs alla James Blunt… – o “The Calvary Cross” di Richard Thompson.
Insomma, delusione e raccapriccio. Incidente di percorso di Oldham (che in fondo mi sento di perdonare, a fine mese deve arrivarci anche lui) ed ennesima conferma che i Tortoise dovrebbero appendere gli strumenti al chiodo. Ah, dimenticavo. Girando per la rete e non, si può notare che questo disco l’hanno stroncato tutti. Ma questo non perché c’è una specie di lobby critica. Solo che essere presi per il culo non piace a nessuno.