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Ok, Chad, facci vedere cosa sai fare. Dopo “Infiniheart” non potevi certo stare con le mani in tasca e fischiettare beato solo perché la critica ti ha considerato molto più che un’ottima speranza. Per chi si fosse perso i riassunti delle puntate precedenti, siamo davanti ad un cantautore canadese artefice di un esordio capace di legare l’anima del folk alla Nick Drake e i battiti di un’elettronica DIY che altro che i Casiotone for the Painfully blabla. C’era da sperare, anche perché le canzoni erano davvero belle e negli ultimi tempi la Sub Pop non è riuscita a pubblicare un disco brutto nemmeno a cercarlo col lanternino (sì ok, io ho stroncato la Band of Horses, ma è un problema mio).
“Skelliconnection”, quindi. Un esame di maturità con encomio. Sorprendente esplosione d’ispirazione e di appetito sonoro. Moderno folk-singer che mette assieme linguaggi diversi e li canalizza in un lavoro che va oltre le più rosee aspettative. Chi se lo immaginava che VanGaalen fosse una copia triste del Beck poliforme? Musicalmente parlando è un passo enorme: rock, country, jazz, elettronica, c’è tutto. Una bussola impazzita al servizio dell’ispiratissima penna del capitano, che ha raccolto questo materiale tra le centinaia di canzoni che dice di aver registrato nell’ultimo anno. Una sorpresa sotto ogni punto di vista, perché se non tradirà le ulteriori aspettative che qui ha inevitabilmente creato, saremo davanti al miglior autore di canzoni di questi ultimi anni. La crisalide si sta per schiudere sui tocchi malinconici di “Flower Gardens”, “Wind Driving Dogs”, “Wing Finger” e di cento altre canzoni ancora racchiuse in un forziere che si aprirà a tempo debito.