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Con una carriera così, gli Eleventh Dream Day possono tranquillamente aspirare alla nomination per l’Oscar come “Miglior band meglio nascosta di sempre”. Ci hanno anche provato, a raggiungere il successo: tre tentativi con la Atlantic tra fine ’80 e inizio ’90, ma non sono bastati. Come sempre in questi casi, mentre la critica tesseva le loro lodi, il pubblico li snobbava. Loro, incuranti, sfornavano capolavori senza sosta, macinavano chilometri e facevano sobbalzare palchi. L’aver soltanto sfiorato il successo, però, li induce a perdere fiducia nel progetto e a cercare altre vie: la batterista Bean con i Freakwater, il bassista McCombs nientemeno che con i Tortoise, mentre il fondatore Rizzo decide addirittura di tornare al college. Gli Eleventh Dream Day diventano un impiego part-time, un ritrovo saltuario e occasionale. Ci si aspetterebbe che la produzione discografica ne risenta in negativo. Macchè. I tempi tra un album e l’altro si allungano sì, ma il peso specifico degli stessi non accenna a scemare, anzi: “Eigth” (1997) e “Stalled parade” (2000) rappresentano due ulteriori tappe verso il raggiungimento della piena realizzazione artistica.
Fino ad arrivare, sei anni dopo, a “Zeroes and ones”. Sarà la calma con cui è stato scritto e inciso, sarà una sorta di allegro disimpegno che sembra trasparire da queste 12 tracce, ma nulla in “Zeroes and ones” risulta eccessivo o sprovvisto di freschezza. Dai pezzi più diretti e sferraglianti, che odorano di Dream Syndicate, come “Lately I’ve been thinking” e “Lost in the city”, a quelli più rilassati e scherzosi, come “The lure” e “From k to z”, dalla magnifica apertura di “Dissolution”, con un McCombs straordinario, al dittico conclusivo formato da una “Pinwheels” luccicante e una “Journey with no maps” che dimostra una consapevolezza di scrittura veramente notevole, nulla è fuori luogo, la band suona veramente “loud” e le tastiere adempiono perfettamente al proprio compito di sorreggere la struttura. Un capitolo a parte meritano i due pezzi in cui la chitarra di Rizzo si erge a protagonista assoluta: “For Martha” è una declinazione del verbo dei Jesus and Mary Chain con in più un finale deflagrante e saturo; “New rules” parte corale e armonica, poi si spezza e si blocca su un giro di accordi che speri non abbia mai fine, fino a quando inizia l’assolo, una delizia infinita che sta tra Ira Kaplan e Neil Young, e che renderà questa canzone una necessità, un bisogno fisico.
“Zeroes and ones” è l’album perfetto per iniziare ad amare gli Eleventh Dream Day, e si tratta, almeno per il sottoscritto, di una vera e propria folgorazione. La loro fetta di storia è piuttosto piccola e, soprattutto, ben nascosta; è uno scatolone buttato in un angolo fra gli scaffali ricolmi nel magazzino della storia della musica rock: ma vi verrà voglia di appropriarvene, svuotarlo completamente e godere del contenuto fino in fondo. “And the Oscar goes to…”