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Diciamocelo, di questo ep non se ne sentiva il bisogno. Gli Arctic Monkeys sono stati lanciati con tutti i mezzi possibili, un lancio degno dell’Apollo 211 (ovvero della duecentundicesima band che la stampa inglese cerca di propinarci a scopi nazionalistici), e questo si sa. Però abbiamo anche già detto in altra sede che stavolta non sembra un bluff, e che c’è più di una ragione – la spontaneità, l’irruenza, il divertimento, l’essere cazzoni (forse cazzoni costruiti ma a noi non pare…) e altre percezioni a pelle – che ci fanno essere ottimisti.
Ottimisti però non significa volerla prendere in quel posto, per cui ammettiamo candidi candidi che questo “Who The Fuck Are Arctic Monkeys” non aggiunge nulla a quanto già detto solo pochi mesi fa, perciò non ce n’era necessità. Non perché le canzoni non siano ascoltabili, tutt’altro. Non perché ci si vuole accodare a quella stampa snobista che li accantona solo perché hanno venduto più delle otto copie massime del Gruppo Indie Esemplare (cioè se ne vende più di otto è automaticamente un prodotto mainstream…).
L’unica ragione è il rispetto di quella regola non scritta che ti fa apprezzare un album con l’invecchiamento (del disco, s’intende). Come il buon vino che migliora nelle botti, stessa cosa. Nell’attuale fase di masterizzazione/scaricamento/duplicamento/tutti i modi sono buoni per avere masse di cd o mp3 che non si ascolteranno (bene) mai, avremmo voluto che quell’album di esordio avesse avuto il tempo per essere ritirato fuori, rianalizzato, rigustato, seguendo una regola di slow music che ti poteva dare un giudizio più meditato di quell’opera (controversa, almeno per i commentatori). Si può fare lo stesso, direte voi. Vero. In ogni caso secondo noi gli Arctic Monkeys avrebbero convinto più persone se non le avessero costrette a rimettere subito mano al portafoglio.
Detto ciò, che peraltro non c’entra nulla o quasi con la musica in sé, segnaliamo pure che “Despair In The Departure Lounge” è una discreta ballata, che “Who The Fuck Are Arctic Monkeys” è sufficientemente saltellante per coinvolgere e “No Buses” ha un andamento abbastanza inusuale che ci stuzzica l’orecchio. L’ep non ci ha risposto però all’interrogativo più importante: come (e se) evolveranno gli Arctic? E’ un compendio di “Whatever People Say I Am…”, niente di diverso (magari di pezzi registrati in contemporanea con gli altri e scartati). Sappiatelo, poi se non ve ne frega nulla delle elucubrazioni di opportunità che il presente recensore ha insinuato, compratelo lo stesso. Lo archivierete presto nel vostro Benno porta-cd.