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E in Italia abbiamo i Franklin Delano, lo dico con una punta d’orgoglio e una di rammarico. Abbastanza ovvie le ragioni, siamo connazionali di un gruppo di primissimo livello ma purtroppo non se ne accorge nessuno e nei patri territori ancora suonano davanti a quattro poveri gatti che si sbattono per vedere cosa di nuovo sono riusciti a fare. Vabbè. Lo sanno bene negli Stati Uniti, dove Paolo Iocca e Marcella Riccardi sono ormai soliti recarsi per registrare la loro monumentale musica rock. Chicago, per l’esattezza, città di quel Jeff Tweedy vera guida spirituale di “Come Home”, primo album su Ghost Records e terzo in totale che sembra quasi chiudere un ciclo. Dopo le prove post-folk di “All My Senses Are Senseless Today” e le sperimentazioni slow-core di “Like A Smoking Gun In Front Of Me” arriva la perfetta quadratura del cerchio, un pop americano dai confini rarefatti da nascite di fantasmi e psichedelie urbane. Gli spettri di Spoon River incontrano lo zio Tom sulla Highway 61 e vanno assieme a Gram Parsons ad un concerto dei Wilco in una metropolitana infestata di spacciatori di eroina. Ecco “Come Home”, l’opera più matura e più affascinante del più sottovalutato dei gruppi italiani. Dirige Brian Deck agli Studi Soma di John McIntire e questa volta sarebbe davvero un crimine assoluto mancare all’appuntamento. Non tanto per partigianeria, quanto per la bellezza di canzoni – su tutte “I Know My Way”, “Your Demons” e “Motel Room” – che pochi sanno scrivere. Insomma, d’Italiano qui c’è ben poco e Paolo Iocca dovrebbe smettere di vivere tra Bologna e Chicago in favore di quest’ultima. Tanto qui il folk-rock che si mescola al country e alla psichedelia interessa solo a me e un altro paio di critici musicali che ancora si intestardiscono per far conoscere in giro i Flying Burrito Brothers. Con canzoni di questo taglio può essere in grado di battere qualunque scettismo yankee nei confronti di un figlio della Pizza Margherita che gli dice come si fa folk nel nuovo millennio.