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Punk-funk in equilibrio tra mente e corpo: questo cercavano di fare i Supersystem dopo aver chiuso la loro storia come El-Guapo, e in “Always never again”, l’album dello scorso anno, l’esercizio era riuscito eccome; “A million microphones”, l’album con cui la Touch & Go festeggia il venticinquesimo compleanno, sposta l’asse verso la mente: ballabile ma cerebrale, ora i Supersystem creano un album con il preciso intento di dimostrare come il funk possa arrivare dalle fonti più diverse.
E spesso è davvero un bel sentire, tra incastri ritmici impressionanti e soluzioni che lasciano a bocca aperta: “Not the concept” apre la corsa su un beat hip-hop strapazzato da tastiere 80s, mentre “The lake” è una filastrocca dub che sembra suonata al doppio della velocità; “The only way it’s ever been done” si piega alle tendenze dell’electro più acida, e in “Eagles felling eyres” il groove viene costruito addirittura con un’arpa sintetica.
Ma c’è qualcosa che non convince: più che creare qualcosa di valido, i Supersystem sembrano avere una gran voglia di farti vedere quanto sono bravi; e allora, ben vengano i tribalismi e le incursioni mediorientali della chitarra di “Joy” (degna erede della “Miracle” apparsa su “Always never again”), ma in “The city” sembrano una copia stropicciata dei Talking Heads senza avere né il talento né l’ironia arty di Byrne e soci.
È proprio il voler suonare “strani” a tutti i costi il peggior difetto di “A million microphones”: nel tentativo di staccarsi – giustamente – dall’affollatissimo filone punk-funk, i Supersystem hanno perso di vista le canzoni, e ritrovano il bandolo della matassa solo verso la fine, con una “White light / white light” al fulmicotone. Insomma, i quattro assomigliano a quel tuo amico che al liceo sedeva al primo banco: ogni tanto sapeva anche essere divertente, ma il più delle volte era talmente saccente che l’avresti preso a pugni.