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Dopo l’uscita di “Worlds Apart” il mondo si è appunto (che simpatia) diviso. Da una parte chi vi ha trovato una rinnovata capacità di scrittura, certamente avvolta in arrangiamenti barocchi, ma non meno coinvolgente e di qualità. Dall’altra chi ha disprezzato pesantemente il nuovo corso, spesso sull’ondata di quel tremendo trend-setter chiamato Pitchfork, sperando in una perpetua reiterazione di un suono e uno stile già sviluppati appieno in “Source Tags & Codes”. Bene, parlo proprio a voi, mettetevi l’anima in pace.
“So Divided” è la naturale continuazione di un discorso che ha cambiato le carte in tavola. Più mainstream, forse, ma quanto stupido sarebbe definire i Trail Of Dead “commerciali”? Più pop, è palese, ma perché a molti fa così schifo l’utilizzo di questo termine? Ma poi che senso ha? Quanta POPolarità… “Worlds Apart” è stato un flop da crisi esistenziale per Conrad Keeley, e questo “So Divided” sarà probabilmente lo stesso. E non conta che “Life” sia una delle canzoni più belle che ho sentito in questo 2006, perché non c’é niente di quell’ammiccamento utile a vendere palate di dischi sia nella sezione pop-rock (al quale si sono incredibilmente avvicinati) sia in quella alternative (che è in fondo la loro anima). Si continua quindi a camminare lungo la strada che unisce paurosamente le chitarre ruvide con le bande delle sagre paesane ma con una scrittura ancora più attenta alla melodia, tanto vicina alla tradizione inglese (i T.Rex in “Naked Sun”; la title-track: qualcuno ha forse detto Oasis?) quanto allo spessore di certi Smashing Pumpkins. Il risultato è un calderone di suoni che se da una parte affossano volentieri le chitarre, dall’altra sfruttano l’ormai naturale tendenza all’epicità per mettere in risalto grandi Canzoni. In questo senso la già citata “Life” e l’incredibile chiusura di “Sunken Dreams” bastano per far entrare “So Divided” nella lista dei dischi da avere.
I Trail Of Dead ormai superano se stessi su tutti i fronti dando alla luce un disco all’altezza del precedente – per chi scrive, una specie di capolavoro – mettendo ancora più in evidenza sia le doti compositive che, soprattutto, la sacrosanta personalità che mille altri gruppi non avranno neanche pregando in cinese. E un bel calcio in culo a chi li vorrebbe come non sono più.