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Come suona un disco hip-hop fatto da qualcuno che l’hip-hop lo odia in maniera abbastanza palese? Molto bene, verrebbe da dire, anche perché le dodici canzoni di “Matters of love and death” fanno di tutto per affrontare il genere in maniera laterale, cercando per quanto possibilie di non farsi ingabbiare nel clichè.
Nuccini è hip-hop quanto poteva esserli il DJ Shadow virtuoso del turnablism di “Entroducing” (se ne scorgono le tracce nella base sempre più nebulosa di “My wild civilization”), o quanto i Notwist assieme ai themselves nella malriuscita pietra angolare glitch-hop che è stata “13&God”, o quanto gli stessi Giardini Di Mirò da cui proviene, quelli di certi episodi dell’ultimo “North atlantic treaty of love”.
“Matters of love and death” non sfugge dalla maniera, ma è allo stesso tempo un disco piuttosto vario, e dai suoni perfetti: “The dinosaur…” si fa cullare dalla tromba prima di un’accelerazione ritmica fulminante; “Your father’s head” è puro pensiero malinconico in un caotico corto circuito di bleep, violini, fruscii e interferenze; “Sick Berth” omaggia fin dal titolo Bert Jansch con un obliquo giro folk, mentre l’amore eterno per lo shoegaze della band madre ricompare nel tappeto impalpabile di chitarre di “God is the spider” e nell’eterea “A divine example”. In “Tradition and abstraction”, poi, compare anche la voce di Pier Vittorio Tondelli, in una vecchia intervista rilasciata alla RAI, e non è certo un caso: come in molte opere prime compaiono tutti gli amori e le ossessioni di un musicista libero di sfogarsi senza mediare con una band ricca di pulsioni creative come i Giardini Di Mirò, e il risultato è decisamente superiore alla media.