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E’ strana la critica musicale. Per gli Zero 7 si sono sprecati alti e bassi, recensioni positive e stroncature, questo e quello, con una unica sola nota costante: il paragone con gli Air. Si è acclamato, e non si capisce bene il perché, il pur segnalabile “Simple Things” (2001), tralasciato inorriditi il successivo “When It Falls” (2004) e recensito tiepidi con diverse sfumature questo “The Garden”.
In realtà gli Zero 7 stanno facendo fin dall’inizio lo stesso album di ricerca di stile, alla ricerca del proprio stile, e in tutti e tre donano alcune canzoni riuscite e altre senza un’anima. Quest’ultimo “The Garden” non fa eccezione: ci sono tante idee dentro, per andare oltre al semplice easy listening ad esempio con la ballata acustica di “Left Behind” che potrebbe essere di un Devendra Banhart qualsiasi oppure con le tentazioni jazzy di “Your Place”, ma il risultato complessivo non è mai omogeneo e, a tratti, è invece un po’ stucchevole e di maniera. Tentativi fatti con professionalità, ci mancherebbe, ma senza quell’anima citata prima e che distingue un artista riconoscibile da un degno e pur ammirevole strumentista che suona roba di altri.
A noi sembra che gli Zero 7 riescano bene nell’essere languidi, si ascolti “If I Can’t Have You”, o melanconici, ed è il caso dei primi tre minuti di “The Pageant Of The Bizarre”, meno se usano sfumature soul (“Throw It All Away” e il finale incomprensibile, appunto, di “The Pagent..”) o bossa (“Today”).
Gli Zero 7 potrebbero essere definiti come degli “Inglesi Che Vorrebbero Essere Francesi”: in realtà dovrebbero cercare di essere solo loro stessi. Ne guadagnerebbero di sicuro.
(Paolo Bardelli)