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La sua esistenza separata da Thom Yorke è stata a volte messa in dubbio. Dottor Jekyll e Mister Hyde? Probabilmente solo leggenda, fattostà che Donwood continua a legare la sua firma ai Radiohead. E’ ora di abbozzare qualche tratto su un artista imprescindibile di Art Rock, che anche le gallerie d’arte hanno ormai sdoganato: dal 22 novembre è in corso una sua mostra a Barcellona (fino al 16 dicembre).
Forse non ce n’era bisogno, dato che la musica della più visionaria band dei nostri tempi, i Radiohead, era già immaginifica di suo. Però l’abbinamento visivo con l’opera grafica e pittorica di Stanley Donwood fin dalla cover di “The Bends” ha indubbiamente contribuito ad alimentare il fascino della band di Oxford.
Donwood, al secolo Dan Rickwood, e Yorke si conoscono sui banchi di scuola, o meglio di università. Siamo ad Exter, entrambi sono allievi di arte. Thom è fissato con Bacon e per dipingere usa solo il rosso, il bianco e il nero. Donwood invece ama John Constable, Robert Rauschenberg, Breugel, Bosch (vedi intervista). Thom finisce l’università nel ‘91 prendendo per il culo – è letteralmente il caso di dirlo – i prof.: “Passai allo scanner l’intera Cappella Sistina di Michelangelo e la salvai su un hard disk; cambiai tutti i colori e dissi che era opera mia” (1). Non chiama Stanley per il progetto grafico del primo album “Pablo Honey”, ma solo per il successivo “The Bends”. In un modo forse ancora un po’ acerbo e non del tutto coerente, Donwood dà vita visiva per “The Bends” ai temi della precarietà umana e della meccanizzazione: in copertina l’immagine di un manichino utilizzato per le lezioni anatomia preso in prestito dal John Radcliff Hospital di Oxford (2), nel booklet le interiora di un soldato, un uomo a cui viene praticata la defibrillazione, immagini “mediche” con un taglio post-urbano che si differenzia, ad esempio, dall’artwork retrò degli atlanti di medicina legale riportati in “Vitalogy” dei Pearl Jam l’anno precedente (1994), e altre più “moderniste” (una sala d’attesa di un aeroporto, il globo della BBC delle prove di trasmissione, ecc.),
Globo della BBC nell’artwork di “The Bends”, 1995
che anticipano temi che saranno poi superbamente rappresentati in “Ok Computer”.
Per l’album del 1997, votato dai lettori della storica rivista inglese “Q” come il miglior disco di tutti i tempi, Donwood rappresenta in modo vivido degli scorci di una moderna metropoli costruita sulla velocità e sull’alienazione, governata da segnali di allarme e attenzione tanto precisi quanto contradditori, come se li avesse messi il Tyler di “Fight Club” (libro di Palahniuk uscito, si badi bene, l’anno prima, nel ‘96).
Cover del singolo “Karma Police”, 1997
In ossequio al titolo e allo spirito del disco, progetta tutto l’artwork al computer.
Ma il vero capolavoro di Donwood è, a parere di chi scrive, il progetto grafico di “Kid A” (2000), ancora di più di quello di “Amnesiac” (2001) la cui edizione speciale ha peraltro vinto nel 2002 il Grammy Award come “Best Recording Package”. Prima di “Kid A” Donwood passa un sacco di tempo in musei di guerra, oltre a soffermarsi ed analizzare fotografie di montagne e scene di neve (2). La copertina è sintetica, sempre più fredda a voler anticipare la svolta elettronica del quintetto, con paesaggi asettici post-war come se i rifugi antiatomici rappresentati nella cover del singolo di “Karma Police” (1997) avessero dovuto essere usati per davvero. Un mondo che, nelle locandine dei concerti estivi che precedono l’uscita dell’album, è governato da demoni spaventosi
Locandina del tour di “Kid A”, 2000.
che possono ricordare, nell’apparente semplicità di tratto, certe creature mostruose del fumetto “Devilman” di Go Nagai. Sotto il cd, quasi una reliquia da scoprire o ritrovare come degli appunti di adolescenza, un libretto nascosto con frasi sconnesse opera di un cut and paste, durato un anno (!), fatto da Stanley e Thom (che si accredita accanto a Donwood con gli pseudonimi “Dr. Tchock” o “Tchocky”). E’ poi dell’epoca di “Kid A” – da non dimenticare per la forza, potenza e riconoscibilità dell’immagine – l’orso sghignazzante riprodotto su tante magliette del gruppo.
“Bear”, artwork di “Kid A”, 2000.
Il mondo di “Kid A” si fa – se possibile – ancora più cupo nel fratellastro “Amnesiac”: è come “entrare in casa di qualcuno, aprire un armadio e trovare gli appunti di viaggio dei padroni di casa. C’è una storia ma non una vera e propria trama, bisogna estrarre dei frammenti. Ti rendi conto che a queste persone successo qualcosa di così importante da cambiare completamente le loro vite, ma nessuno ti dice cosa sia esattamente”, dice Thom (3). Lacrime, alberi inquietanti che neanche quelli de “La Casa” di Sam Raimi (1982), facce aliene che emergono da loculi, il tutto sotto cieli e ambientazioni grevi e scurissime per ottenere l’effetto delle quali Donwood utilizza una fotocopiatrice rotta.
E siamo a “Hail To The Thief” (2003), l’album del “crepuscolo”. Rappresentando cartine stradali di diverse città (Los Angeles, dove i Radiohead hanno inciso, ma anche luoghi di guerra come Kabul e Grozny) con all’interno, su colori vivissimi, parole e frasi che Thom si era annotato per mesi da notiziari radio ad inizio 2002, Donwood sembra immaginare una mappa che non serva ad uscire dal “crepuscolo”, piuttosto ne sia l’agglomerato di strade per entrarvi. Il risultato, sebbene lontano dal neoespressionismo di Basquiat che si affida a parole caotiche e criptiche nei suoi quadri, è allo stesso modo disorientante, quasi che ogni parola sia talmente pesante da fuoriuscire dai contorni nettamente identificati della cartina.
“Kabul”, artwork di “Hail To The Thief”, 2003.
Da ultimo Stanley Donwood ha firmato anche il cartonato di “The Eraser” (2006), album solista – freddo e distruttivo – di Thom Yorke, mostrandoci con pochi tratti avvolgenti e disorientanti una Londra che viene spazzata via da inondazioni e incendi. L’artista era rimasto affascinato dagli allagamenti in Cornwall, due anni fa, e li rappresenta in “London Views”, una serie di quattordici stampe in legno intagliato in mostra nella galleria Lazarides, in Soho, a Londra, nel maggio 2006. L’ultimo pezzo, “Cnut”, è quello che è stato scelto per la copertina: “C’era qualcosa in questo immenso torrente che lavava via tutto, e l’inutile figura che cerca di tenere a freno l’onda (o che ne viene inghiottito) funzionava in relazione al disco”, spiega Stanley a Billboard. E sul cartonato: “Entrambi (lui e Thom n.d.a.) volevamo evitare di usare la plastica, eccetto il cd in sé ovviamente”.
Nella presentazione del cd Donwood trasla la scena dell’allagamento e degli edifici in fiamme sul palcoscenico che diventa perciò rappresentazione della tragedia.
Artwork di presentazione di “The Eraser”, 2006.
Ormai non solo gli appassionati di musica si sono accorti dell’inquietudine moderna di Donwood: dopo Londra, anche una galleria di Barcellona gli ha aperto le porte. In mostra all’Iguapop Gallery, dal 22 novembre fino al 16 dicembre 2006, una personale di Stanley Donwood con un titolo allegro: “Dead Children Playing”.
Locandina della mostra di Donwood a Barcellona, 2006.
(Paolo Bardelli)
Note:
(1) Mac Randall, “Exit Music, La Storia dei Radiohead”, (Arcana, 2005), pag. 46;
(2) Monica Melissano, “Le canzoni dei Radiohead. Commento e traduzione dei testi” (Editori Riuniti, 2003), pag. 39;
(3) James Doheny, “Radiohead. La storia, le canzoni”, (Giunti, 2004), pag. 113;
7 dicembre 2006