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Si respira l’aria di New York coi Tv On The Radio, quella del melting pot di Brooklyn e dei film di Spike Lee, quella dei bassifondi e dell’incrocio di culture. Lontano dunque da quella Grande Mela scintillante dei magazine per cui è più importante il look di John Casablancas che il nuovo album della sua band, lontano da ogni revival ameno di un sottogenere andato in soffitta qualche decennio musicale prima, qui si è di fronte invece al vero tessuto vitale, mordente, delle culture mischiate di Brooklyn. Di oggi. Di qualche minuto fa. Tante influenze dunque, tanti spunti che trovano coesione e sintesi non ben classificabile in “Return To Cookie Mountain”, seconda prova sulla lunga distanza dei Tv On The Radio dopo “Desperate Youth, Blood Thirsty Babes” (2004), non contando il primo ep “Young Liars” uscito nel 2003.
L’inizio è barcollante (“I Was A Lover”), con una batteria elettronica che vacilla come in qualche brano di “Think Tank” dei Blur senzacoxon (quello che viene in mente è “On The Way To The Club”) e un animo black che emerge tra distorsioni e trenta secondi di pianoforte. Non si fa in tempo a pensare che i Tv On The Radio hanno in sé qualcosa di declamatorio alla Bowie che appare proprio il Duca Bianco in persona, ospite in una “Province” in bilico tra pop e rarefazioni new-wave. “Playhouses”, traccia numero quattro, sembra fatta apposta per un buon djset indie-dark, mixata magari con “Formica Fuego” dei Two Lone Swordsmen, una sicurezza per il coinvolgimento dell’auditorium in pista e – si crede – per una menzione dei posteri che cercheranno le canzoni meritevoli ma disperse del decennio 2000-2010.
Andando avanti i Tv On The Radio si spingono sempre più giù, negli inferi o in qualche luogo da quelle parti, evocando spettri più o meno esistenti: i Faith No More svuotati del loro fragore (“Wolf Like Me”) e Peter Gabriel con i Marlene Kuntz (!) come band (“Wash The Day”). Lì sottoterra, dove si fanno brutti incontri, la formazione di Tunde Adebimpe diventa davvero inespugnabile e inestricabile, mettendo un muro sonoro tra sé e l’ascoltatore che ha, a quel punto, solo due possibilità: o viene tirato con il braccio giù nel limbo o se ne scappa a gambe levate. Quando “Return To Cookie Mountain” entra nel vivo, insomma, c’è poco da stare allegri, si potrebbero avere delle crisi di claustrofobia e questo va detto. Non è un album facile e potrebbe rimanere lontano dal lettore del depresso cronico o dell’ascoltatore distratto come un vampiro all’aglio. Questo perché non si riesce a scorgere nessuna concessione fotogenetica, nessuna apertura, nessuna redenzione. Solo gli abissi di altri riti vodoo (“Let The Devil In”, “A Method”).
Sarà il tempo a dirci la portata e l’influenza di questo cd, e se si riuscirà a codificarlo (e a metabolizzarlo) meglio. Per ora consigliatissimo come una medicina salvavita che però può avere effetti indesiderati anche gravi.