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Non avrebbe senso ascoltare di giorno questa nuova prova degli Early Day Miners, combo solitamente sussunto nell’ambito del post-rock e proveniente da Bloomington, nell’Indiana. Sono sei tracce che formano un continuum totalmente notturno: sussurri adagiati come le chitarre slide di “Return Of The Native”, potenza evocativa di certi Cure – e viene subito in mente il dark, no? – nell’iniziale “Land Of Pale Saints”, slowcore mai indulgente con se stesso (e spesso succede, si sa) in “Silent Tents”.
Precisi come orologi svizzeri nello sfornare album con una media quasi annuale che ormai non è più moda, in “Offshore” gli Early Day Miners riescono a mantenere costante una tensione salutare, un brivido a pelle, un freddo pungente continuo. Lavora ottimamente John McEntire dei Tortoise nel mixing e nella postproduzione, rendendo l’album omogeneo come quella ipnotica coda di nulla di “Silent Tents”, un vuoto che potrebbe ricordare Brian Eno o le dita degli alberi dei Radiohead (“Treefingers”).
La canzone che chiosa il disco, “Hymn Beneath The Palisades”, è infine un altro tuffo al cuore verso lidi che se fossero cinematografici sarebbero de “Il Corvo” di Proyas-iana memoria, e si resta lì sentendosi pervasi da una sensazione strana e straniante. Daniel Burton può essere fieramente soddisfatto di questa creatura, stavolta agli Early Day Miners potrebbe davvero essere tributata quell’attenzione che meritano. Post rock? No, rock scuro e basta.