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La delicatezza della luce che attraversa i campi è l’immagine che ci introduce nelle malinconie da divano dei Mauve, trio piemontese nato da poco tempo e già padrone di sé. È bastata una chiacchierata nel giardino di una biblioteca, a Carlo (chitarra e – timida – voce) ed Elda (batteria) per decidere di suonare assieme, poco più di due anni fa; ma, tra le molte band nate per caso, i Mauve hanno qualcosa da dire, o meglio, da evocare.
Attenti alla cura grafica del loro disco (tra morbidezze annunciate di alberi e nuvole in viaggio), quando si tratta di suonare, i Mauve camminano come Sonic Youth narcotizzati tra dissonanze e tamburi percossi lentamente (“Miles Davis”, anche se il legame con il jazzista sfugge), occasionali apparizioni vocali su trame strumentali non banali (“Keep me warm”), cavalcate indecise se farsi circolari o meno mentre il rumore cola rapido come una versione accelerata dei Mono (“Mauve paranoid”) e filastrocche tormentate dai drones (“Autumn leaves”, nuovo richiamo al jazz).
Quattro tracce, per poco più di mezz’ora che scorre molto più rapida e interessante del previsto; questi rumori da divano sono usciti lo scorso anno, autoprodotti, e si sono guadagnati l’attenzione di una nuova etichetta, la Canebagnato, che ha deciso di pubblicarli: hanno avuto ragione, perché il trio, pur ai primi passi, sta già felicemente iniziando a scantonare dalle gabbie dei generi. E non è cosa da tutti.