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Il segreto della crescita è sperimentare, provare cose nuove. Che queste novità siano la prima sbronza o una spolverata di chitarre elettriche, poco importa. E ne sarà passato di tempo dalla prima sbronza di Sondre Lerche. Ormai non è piu’ l’enfant prodige di “Faces Down”. E’ diventato grande. Ora per davvero, non come quando si atteggiava da vecchio crooner nelle “Duper Session” (avere ventritrè anni e fare il Frank Sinatra era davvero poco credibile).
“Phantom Punch”, il quarto lavoro del norvegese, vira verso ambienti decisamente più rock, abbandonando gli archi che tanto avevano fatto nei primi album. Ritmi veloci e incalzanti in “The Tape” e travolgenti nella danzerina “Face The Blood”, alternati a momenti più classicamente pop (vedi alla voce “Tragical Mirror”, chitarra acustica e tanto romanticismo). Non che il biondino si sia dato a danze scatenate o rumorismi vari, sia chiaro. Si rimane sempre nella scia di “Two Way Monologue”, com’è palese in “After All”. Semplicemente è passato dalla seconda alla terza e ha messo la spina alla chitarra, con – addirittura!!! – qualche distorsione qua e là, come nella title-track, la canzone più cattiva del disco. E lo fa meglio di tanti altri che nel calderone del cosidetto indie-rock ci sguazzano fin dalla nascita. Rimane il gusto per le melodie, catchy e scintillanti, e la grande cura nei dettagli e negli arrangiamenti. Peccato che un album tanto piacevole debba chiudersi con un fenomenale crollo degno delle mura di Gerico. Dopo la deliziosa e sbarazzina “She’s Fantastic”, infatti, arriva quel… come definirlo? mostro da sette minuti che è “Happy Birthday Girl”. Lenta, noiosa e decisamente inutile. L’unica pecca di un album che segna la crescita del norvegese di Bergen, che si dimostra capace di distreggiarsi in ambienti diversi.
Peccato per la copertina. Un Sondre che vuole fare il rocker ad ogni costo. Quanto fa cattivo ragazzo? Con quel visino rimarrà sempre il bravo bambino che saremmo liete di presentare alla mamma.