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Qualche tempo fa, sono tornato nel liceo da cui erano faticosamente riusciti a buttarmi fuori, dopo cinque anni di polemico battibecco e ostentato disinteresse. Ho ritrovato tutto com’era: la professoressa d’inglese col suo taglio di capelli a scodella e il rossetto sui denti, quello di matematica che mi incuteva terrore al solo sentire la sua voce, il mio professore di italiano…
Ecco, proprio lui: era bravo, ma non mi è mai piaciuto. L’ho ritrovato identico nella sua spocchia, nei suoi gesti, nel suo scuotere con ostentazione un foglio davanti a uno studente che gli chiedeva chiarimenti.
Che c’entra il mio amarcord con il quarto album degli Explosions In The Sky? Nella mia testa, c’è un filo logico: proprio come il mio vecchio professore, ritrovarli dopo anni significa vedere come non sia cambiato niente, nemmeno i più piccoli gesti. Ritrovarli è sperare in un cambiamento, e rimanere delusi dal capire che è tutto uguale; avresti dovuto aspettartelo, stupido. Le sei canzoni di “All of a sudden, I miss everyone” seguono le stesse strade di sempre: non una parola, e alterazioni di dinamica che si sviluppano con calma per passare, come diceva la band, dal massimo del silenzio al massimo del rumore. È una cosa che gli Explosions In The Sky sanno fare meravigliosamente, lo sappiamo: nessuno potrà dirvi che questo disco è brutto, o suonato male, o che questi intrecci di chitarre non siano meravigliosi. Potranno dirvi tutti, però, che non c’è un briciolo di sorpresa.
Il disco parte con le sei corde in piena estasi di sogno rumorista, e la ritmica arriva pian piano a ingrossare tutto come una nuvola minacciosa; più in là arrivano ruscelli pianistici a scavare le caverne di chitarra di “What do you go home to?” fino alla chiusa di “So long, lonesome”, che suona come un dolcissimo carillon. In mezzo, la solita sinusoide tra quiete e rumore: bellissimo, ma sappiamo già tutto. Non c’è niente da scoprire, qui.