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Grazie a Dio, qualcuno ha ancora il gusto della melodia, il sorriso dispettoso di chi sa incattivirla appena e l’intelligenza di non complicarla troppo: al terzo disco, i Kech magari avranno perso l’irruenza piena di fuzz che scompaginava il debutto “Are you safe?” ma, nel frattempo, sono diventati grandi, hanno preso coraggio e si sono buttati in territori nuovi.
Non che le dieci canzoni di “Good night for a fight” siano così distanti da quel piacevolissimo ibrido tra Elastica, Breeders e Blur che ci avevano fatto innamorare di loro, ma qualcosa è cambiato: qua e là si osa un riff che richiama i Clash (l’ottima apertura di “Tidoung”), arriva una voce maschile tra i battimani (la title-track), compare un Hammond a corteggiare gli Yo La Tengo di “Autumn sweater” (“Beach volley”), fino agli archi che ricamano attorno alla chiusura di “Things”. Eppure, mischiando gli ingredienti, il risultato non cambia: i Kech continuano a essere una boccata d’aria fresca, e a costruire canzoni di una piacevolezza infinita; i quaranta minuti di “Good night for a fight” corrono veloci, strappandoti un sorriso e un coretto quasi a tradimento, senza che tu nemmeno lo voglia: si ha quasi l’impressione che un pezzo come “First time” avrebbe potuto uscire dalla colonna sonora di “Dirty dancing”, se solo quel nessuno mette Baby in un angolo fosse stato ambientato all’epoca del post-punk.
Piccole canzoni imperfette e irresistibili, dunque, come quella “Please don’t say no” con la voce di Giovanna che è un tuffo nei girl group tunes anni ’60, prima che il basso folleggi estroso alla Pixies con una tromba a incorniciare il tutto: melodie (e dischi) come queste salvano anche la giornata più grigia, credete a me.