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La domanda che un po’ tutti evitano volutamente, perché scontata, troppo facile, oserei dire banale, è la seguente: “Che senso può avere un disco degli Stooges nel 2007?”. Domanda tanto prevedibile quanto prevedibile è la risposta: assolutamente nessuno. E dopo aver ascoltato “The Weirdness” questo “nessuno” raggiunge dimensioni gargantuesche.
In realtà la risposta giusta da tizio rock’n’roll che spesso e volentieri dice “Oh yeah” con movimento pelvico, o da garage grezzo, o da pseudo-punk un po’ unto e un po’ no perché ormai i tempi sono andati, sarebbe: “Perché adesso arriva Iggy ad insegnare come si fa a tutti questi gruppetti di merda che ci sono oggi”. Come per dire che il vecchio – che in questo caso si limita ad una sigla, Stooges, più che a un’attitudine invariata – è di regola sempre meglio del nuovo, soprattutto se condito con una gigantesca aura di sacralità. Per questo i concerti di Iggy Pop, a distanza di secoli sono ancora meta di migliaia di appassionati del rock’n’roll. Più o meno come gli appassionati di mummie fanno tassativamente tappa al British Museum di Londra. Allo stesso modo Iggy si è conservato, almeno in superficie, sempre uguale a se stesso, con la sua maschera da iguana un po’ patetica che si dimena e cerca la voce che non ha più (e questo disco ne è la prova oggettiva) in nome di una rabbia estinta che sa di tempi decisamente andati.
Chi vi scrive non ha mai visto un concerto degli Stooges. Cosa che, pur parlando di un gruppo che ha sfornato due capolavori e mezzo circa centosettanta anni fa e poi nulla più, pare sia stata anacronisticamente fatta da chiunque. Ma chi vi scrive, forse in modo impopolare, se ne sbatte altamente. Perché è ipocrita denigrare il carrozzone di Roger Waters, che porta a casa la pagnotta continuando a rivisitare i soliti due album dei Pink Floyd, e poi incensare Iggy Pop quando altro non si aspetta se non l’ennesima esecuzione di “I Wanna Be Your Dog” e il momento in cui il copione dice “Ora Iggy si lancia sulla folla e si fa toccare dagli adoranti sbavanti”. Del resto, e di questo “The Weirdness”, chi se ne frega? Ci metto la mano sul fuoco.
Un disco senza rabbia, e dire “Stooges” senza poter dire “rabbia” fa male al cuore. Un disco senza voce, che Iggy pare aver perso chissà dove mentre Ron Asheton imparava, purtroppo, come si tiene davvero in mano una chitarra. Un disco senza suono, con la produzione di Steve Albini che ha l’impatto travolgente del rumore di un foglio accartocciato.
E dire punk fa un po’ sorridere, perché qui siamo sui territori di un hard rock blando come davvero i “gruppetti di oggi” saprebbero fare mille volte meglio, magari proprio dopo essersi studiati a memoria “Fun House”. Noi intanto ci troviamo fra le mani dei pezzi imbarazzanti come “You Can’t Have Friends” o “Greedy Awful People” oppure cose come “Free And Freaky” che, diamine, sembrano i Guns’n’Roses. O meglio i Velvet Revolver, ma con meno tiro. E l’ho detta tutta.
Inutile cercare di uscire dal ricordo del mito che furono, che se non fosse per quello “The Weirdness” non sarebbe neanche stato recensito. E forse neanche ascoltato. Quindi, per chi si aspettava qualcosa sarà una delusione cocente. Oppure sarà la conferma del nostro sapersi accontentare. Oppure il motivo per prenotare una visita dall’otorino. E se ci trovassimo di fronte all’inizio di una seconda carriera? La storia della musica ce ne scampi.
Mi spiace, Iggy, potremmo pensare che tu lo stia facendo apposta. Che il tuo essere un giullare ti porti a farti volutamente beffe del mito che tu e gli altri tre avete costruito con un paio di dischi. Ma si sa quanti di noi hanno ascoltato, adorato, studiato e sudato su quei due dischi, e quanti abbiano davvero anche solo ascoltato i tuoi da solista. Non prendiamoci in giro.
E’ da quando sono nato che, nonostante le tue orrende rughe, e nonostante il fatto che vederti mezzo nudo e attillato non provoca sorrisi meno amari rispetto al tuo emulo dei Red Hot Chili Peppers, sei considerato “il capo dei giovani”. Ma ora forse è giunto il momento di smascherarti. Che con questo disco venga alla luce la verità che latita da sempre: puzzi tremendamente di vecchio.