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Ci si sono rotti il collo in molti, a camminare sul crinale tra rumore e melodia. Ma i Velvet Score non sono tra questi alpinisti sconsiderati: è un territorio che, arrivati al secondo album, riescono a padroneggiare davvero molto bene. Incasellati da subito nel filone post-rock, il quartetto in realtà ha puntato da subito molto più in alto: ricordate la vecchia “Crying on popcorn”? Note ascendenti, fino a un ritornello che provava a condensare in pochissimi secondi gli scoppi violenti degli Explosion In The Sky. Una cosa non da tutti, ed è una formula che i Velvet Score riprendono ora in “Bionic”, con un chorus di una limpidezza esemplare; e da lì si prosegue oltre, tra delicatezze pianistiche ora nude (“New plans”) ora iniettate di lievi ronzii elettrici (“.”), dalla chitarra acustica lasciata a fluire come un bel sogno in cui Elliott Smith è finalmente felice (“The bridge”) agli sfoghi isterici e potentissimi di “Brand new bad days”.
La sensazione è che, dopo un debutto interessante ma non perfettamente compiuto come “Youth”, i Velvet Score abbiano impegato questi tre anni a capire come dosare alla perfezione pieni, vuoti, e armonie, arrivando a vette impressionanti che portano i nomi di “The kingdom of Mrs. Cloud” (molto vicina alle agitazioni fantasiose degli …A Toys Orchestra), “Moon won’t wake tonight” (dove la chitarra impara a farsi lirica come la voce della soprano che la accompagna, fino a che, accompagnata dai violini, la canzone implode lentissima) e, soprattutto, di “Falling stars know where to fall” dove, tra cori angelici e loop, le chitarre tracciano un finale aperto, come un cielo lasciato vuoto, eppure sereno, da una stella in consapevole caduta.
È un panorama dolcemente violento e romantico, quello immaginato da “Scarecrows”: un salto in avanti davvero sorprendente.