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Bisogna mitigare le parole di un fan. I giudizi non sono mai quelli giusti e spesso si perde in superlativi solo per il piacere di avere tra le mani l’opera di un gruppo amato a dismisura. E’ il caso del sottoscritto nei confronti dei Dinosaur Jr. Ai lettori più affezionati di Kalporz non saranno certo sfuggite le mie sbrodolate deliranti su J Mascis e soci e non è certo un mistero il perché: certi suoni, sono quanto di meglio si possa chiedere al rock’n’roll. Non sapevamo bene cosa attenderci – noi fan – dal ritorno in pompamagna di questo monolite della musica underground nella sua formazione originale (con Lou Barlow, che qui canta due dei brani più lirici ed ispirati tra cui “Back To Your Heart”, forse la mia preferita e il batterista Murph) ed è stato quindi sorprendente notare come nulla sia cambiato di una virgola mantenendo, quindi, tutta la sua vigorosa potenza. Siamo sempre nei territori di un rock psichedelico, acido, punk e graffiante, con la chitarra di J Mascis in prima fila e le distorsioni che rimbalzano dal canale destro al canale sinistro per esplodere in un tornado sonoro che catapulta tutto negli anni di “You’re Living All Over Me”.
Questo disco, però, non nasce per garantire alla band una pensione (nel mondo vero, una reunion dei Dinosaur Jr a quanta gente può interessare?), ma dalla volontà di suonare nuove canzoni in tour. E se pensiamo al fatto che prima di oggi Mascis e Barlow non si parlavano da circa vent’anni, fa abbastanza ridere. Ma queste premesse sono molto più accettabili di altre, e dall’attacco di “Almost Ready” capisci a cosa vai incontro. E’ il sound che avevi lasciato nei ricordi di appassionato di musica elettrica e sì, cazzo, quel filo che parte da Neil Young e arriva al power-pop passando per il punk e l’hardcore SST è rosso come non mai. Basti ascoltare “This Is All I Came To Do” e “Been There All The Time”: una macchina ritmica precisa e fracassona – seppure meno convulsiva che in passato – sparata ai 200 mph guidata da un chitarrista totalmente flippato che non aspettava altro per pigiare sul Big Muff e scaricare una valanga di note senza senso. Rumore a caso al servizio di melodie efficaci come si trattasse di Paul McCartney e non di un vegan perso nei fumi della sua mente autistica che non aspetta altro che attaccare i venti amplificatori che si porta appresso.
Ma c’è un tempo per vivere e uno per morire, e il dark side del disco è rappresentato dalla parentesi intimista di “I Got Lost” (acustica e più vicina al Barlow solista) e dai sospirati pezzi in minori come “Lightning Bulb”. Ed è solo alla fine che ti rendi conto che non è come ti aspettavi. E’ molto meglio. Sono finalmente diventati una band, vent’anni fuori tempo massimo e per questo avranno sempre la nostra stima e il nostro amore incondizionato. Del resto, sarò anche solo un fan, ma certi dischi ti fanno saltare dalla sedia e vorrà pur dire qualcosa no?