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Speriamo che qualcuno faccia qualche bagno di umiltà. Non si pretende che vada a Canossa, ma che ammetta che questi Arctic Monkeys sono tra le cose più eccitanti che capiti di ascoltare adesso, beh, questa sarebbe buona cosa. Al secondo album di questo livello bisogna tirare giù il cappello e basta, chapeau, e dire anche che – finalmente! – un gruppo esordiente mantiene le promesse che aveva instillato. Personalmente ritenevo una bufala i Bloc Party e infatti su una pizza sono finiti con “A Weekend In The City”. I Franz Ferdinand ce l’hanno fatta ma hanno superato di poco l’asticella posta qualche cm più in alto. Molti hanno replicato in peggio il debutto e loro stessi, e basta.
Per il gruppo di Sheffield siamo noi invece che ci ripetiamo, non abbiamo cambiato idea dal loro folgorante esordio discografico, quel “Whatever People Say I Am…” la cui unica pecca è stata quella di aver fatto fatica a riconquistare il lettore cd dopo averlo sfiancato un po’: alla lunga insomma aveva stancato la sua ripetitività dei pezzi. Ma questo “Favourite Worst Nightmare” supera quel limite: le canzoni hanno ognuna una loro riconoscibilità, si direbbe che lo smarcamento che hanno fatto gli Strokes tra il secondo (“Room on fire”) e il terzo (“First Impression…”) gli Arctic l’hanno fatto subito, cercando di far capire immediatamente che – sol che lo vogliano – sanno differenziare il marchio di fabbrica. “This House Is A Circus” pompa su un riff che potrebbe essere la colonna sonora di un telefilm di Batman e Robin, “If You Were There Beware” trasforma un fraseggio che è del tutto sudamericano in una cavalcata garage quasi lisergica Anni Settanta, “Flourescent Adolescent” strizza l’occhio a Casablancas e soci (e che ci dovesse essere qualche canzone alla Strokes era prevedibile…). E poi perché non si è voluto infierire e non si è partiti dal singolo “Brianstorm”: chi c’è in giro che butta dentro alla mischia una tale spinta e voglia di scatenarsi? Guardando il video sembra perfino che i culi sculettanti e le luci strobo invece che aumentare l’effetto-botta non riescano a stare dietro alla musica e perdano come una cinquantenne alle slot-machine in un bar della prima periferia. E di solito i culi (femminili) vincono.
Ogni tanto le Scimmiette fanno qualche concessione ai classici riff che li hanno fatti conoscere (“Teddy Picker”), ma soprattutto sorprendono anche quando mollano l’acceleratore, come nella ballata notturna “Only Ones Who Knows” o nel crescendo desertico di “505” (mutuata un po’ troppo da vicino dai Coral…). Poi l’album finisce e in loop ri-inizia “Brianstorm”, ci vengono in mente i culi sculettanti ma gli Arctic Monkeys li sopravanzano. “Sto diventando forse ricchione”, diceva Elio.