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Standard, def.: nella musica jazz, brano di grande popolarità (di solito una canzone) di cui esistono illustri versioni e su cui ogni jazzista deve saper improvvisare.
Ecco, il dizionario lo dice meglio di me. Ma gli standard non appartengono solo al mondo del jazz, tutt’altro: li si trova spesso a flirtare con il mondo del rock, e con loschi figuri che spesso hanno poco a che fare con bande di ottoni e architetture complesse.
E forse non è mai stato sottolineato a sufficienza, ma anche in Italia abbiamo canzoni che, negli ultimi anni, sono diventati simboli a loro modo di un periodo irripetibile, quello della seconda metà degli anni ’90, tra mali di miele e discoteche labirinto, tra stelle buone, e feste meste, e un millennio che si avvicina. Canzoni talmente belle da essere omaggiate da una big band di dodici elementi, diretta dal jazzista Igor Sciavolino e con la complicità di molti di quei personaggi che furono protagonisti di quegli anni, e che continuano ad esserlo: in un continuo scambio di ruoli, Cristina Donà gioca alla piccola Donna Summer tra i baluginii di fiati di “Discolabirinto” dei Subsonica, Emo dei Linea 77 trasforma “Forma e sostanza” dei CSI in un isterico incubo jazzcore e la tromba di Roy Paci fa il diavolo a quattro su “Festa mesta” dei Marlene Kuntz, sconvolta in nove minuti di scoppi free, sottotracce di hammond beat e la big band che trasfigura la furiosa noia della linea vocale di Cristiano Godano in un elegantissimo swing.
“Indie mood” fotografa una scena che omaggia se stessa dieci anni dopo, e lo fa giocando, stravolgendo le proprie canzoni, rischiando di combinare schifezze (Godano non dovrebbe tentare la carta del canto jazz, nemmeno sulla sua “Lieve”, e Clementi poteva decisamente astenersi dal recitare il testo di “Voglio una pelle splendida” degli Afterhours); eppure, quando il gioco riesce, ne risultano momenti meravigliosi, come quella “Ninna nanna” dei La Crus che prende le sfumature di un rebético, o “Il primo Dio” dei Massimo Volume, splendida negli ottoni che punteggiano morbidi un riff di chitarra che nessuno ha scordato.
Alla fine, gli applausi sono meritati: per il Comune di Cremona che ha finanziato il progetto, per i dodici musicisti della big band e per quelli che si sono lasciati dolcemente stravolgere. Disco imperdibile, per chi ripensa con nostalgia alle nostre meraviglie di fine anni ’90. Ai nostri standard, cioè.