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Questo disco lo si recensisce per cortesia. Per meriti acquisiti, ma sembra più una partita d’addio di un calciatore trentaseienne piuttosto che un match importante di campionato.
Dolores O’Riordan come Skin, frontwoman in grado di condizionare i rispettivi gruppi a tal punto da distruggerli ma non altrettanto fondamentali da costruire qualcosa di diverso. E se quello che fa Skin verrebbe da definirlo “musica da supermercato”, quella roba che senti in sottofondo tra scale mobili e sfrigolii di carrelli, questo “Are You Listening?” – immaginandoci per un attimo l’Irlanda ancora rurale, il che non è più si sa perciò la si immagina e basta – potremmo definirlo “musica per far fare latte”. Da sparare in sottofondo nelle mangiatoie, tra mucche e vitellini. E non sembri irrispettoso, una ricerca di qualche tempo fa sentenziava seriamente che le mucche producono più latte se ascoltano musica classica, Mozart mi pare. Hanno perfino i gusti le vacche, tipo preferiscono Mozart a Bach o cose del genere. Ecco, quindi il parallelo non è irriverente. E’ solo per dire che è musica che la si mette su per un’altra funzione, non certo quella di emozionarsi. Chi la mette su non lo fa per sé, lo fa per altri, avventori di ipermercati o animali vivi che siano. Che se la ascoltino loro.
Noi l’abbiamo ascoltata, e Dolores in fondo non è poi cambiata molto dai Cranberries. E questo è proprio il problema: Skin è cambiata in peggio, lei è rimasta lì, con canzoni però che non hanno più quel pathos che ci metteva con i Mirtilli. E poi perché continuiamo con questo parallelo tra cantanti che neanche si assomigliano, una nera e l’altra invece bianca bianca? Forse perché sono entrambe una delusione?
Eh sì, per quello. Noi ominidi cresciuti negli Anni Novanta, tra fucilate in testa e annegamenti nei fiumi, ce le ricordiamo entrambe: fiere, inossidabili, irraggiungibili. Ci ricordiamo con una sorta di tremore “Zombie”, quel video tra troubles di Belfast, quel muro sonoro greve, quella voce che sembrava un canto per i caduti nella guerra dei pub, che girava tra ottave e rimbombava in testa. Poi, dopo l’iniziale sgomento quasi come per “Smell Like Teen Spirit”, non abbiamo mai più ascoltato “Zombie” perché è diventata quasi come “Starway To Heaven”, quelle canzoni cariatidi che inorridisci solo a pensarci dalle tante volte che le hai sentite, però ripensiamoci: ma quanto erano micidiali quei pezzi allora?!! E potremmo anche dire cosa ci sovviene degli Skunk ma siamo off topic, parliamo della O’Riordan.
Oggi Dolores, invece che continuare a dare il latte ai suoi bambini, ce lo propina a noi. Prova a suonicchiare notine di pianoforte come una attempata, elegante sessantenne di Arklow (“In The Garden”, “Black Widow”) innaffiandole di stacchi chitarrosi che neanche Alice Cooper, cucina polpettoni radiofonici che non avrebbero trovato posto neanche come b-side di un 45 dei Cranberries (“Ordinary Day”, “Accept Things”), inserisce tin whistle a caso che fa quasi rimpiangere la colonna sonora de “Il Signore degli Anelli” (“Human Spirit”). E l’emozione… dov’è?
Salta fuori in una canzone. Non a caso prima si citavano i Led Zeppelin, il chitarrista di Dolores dev’essere un patito se nell’arrangiamento di “Stay With Me” cita prima “Take For A Little While” (Coverdale-Page) nella strofa e poi “Kashmir” nel ritornello. Però il pezzo è lancinante, funziona. Oltre a quello, l’inutilità.
“State sentendo?”. Sì, purtroppo.
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