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20 luglio 2007 – La giornata
Il venerdì è la giornata da baracca: si esce, si va al pub, in disco e si ritorna un po’ traballanti. Anche Italia Wave sembrava lanciare questo segnale: Elettrowave posto in chiusura suggellava a mo’ di rave il più classico dei venerdì. Invece un senso di greve e di plumbeo è piombato dall’alto come un avvoltoio sul Festival neo-fiorentino: sono arrivati i The Good, The Bad & The Queen. Il rock che va a braccetto con la morte. Damon Albarn vestito come un becchino. La scenografia tetra di una Londra vittoriana senza futuro. Su disco il progetto “The Good” lascia, appunto, spazio a qualcosa di “buono”, dal vivo no. Il cantato si fa stanco, Damon arranca e si trascina sul palco con solito aplomb ma come svuotato, detta i tempi agli altri reduci (e al quartetto d’archi), è il maestro d’orchestra per un requiem. Fa parte tutto del gioco, intendiamoci, non crediamo che Albarn sia davvero così depresso come inscena in scena, fa solo finta ed è tutto funzionale a questa rappresentazione. Però questo passa.
Ed è emozione, emozione negativa come una separazione, un distacco, una partenza. Emozione nostalgica perché Simonon sul palco fa uno strano effetto, il suo basso è talmente potente e profondo che spacca le viscere e atterrisce quel suo modo di suonare senza tracolla, tenendolo su con le braccia e puntando il pubblico come se volesse sparargli. Dinoccolato, anche lui completamente in nero con la classica croce al collo che si è vista nelle foto di lancio di “The Good”, Simonon è lì ma è parte di un mondo a parte, è come un alieno portato a forza sulla terra, anzi è un morto resuscitato dalla tomba. Che ha già compreso le cose dell’aldilà e suona di conseguenza. Ha un’aura tale che anche chi non lo conosce si chiede (è scena vista realmente): “Ma chi è quello?”.
I “The Good” non potevano pretendere che il pubblico li seguisse fino alla fine dentro i meandri del greve, era venerdì cavolo ed Elettrowave incombeva. Nell’ultimo pezzo perciò fanno saltare fuori dal cilindro Eslam Jawaad, un rapper inglese di origini mediorientali che c’entrava come mia nonna ad un concerto dei Nirvana, che si è messo a rappare e a coinvolgere l’audience, riprendendola un po’ dall’effetto straniante di vedere Damon Albarn in queste vesti. Ma si riuscirà a crederlo a suo agio quando ci risuonerà “Song 2” dal vivo coi Blur? Se è vero che il tempo è fatto di flussi e riflussi, scommetteremmo che prossimamente coi Blur Albarn si darà al giovanilismo più sfrenato per dimenticarsi di questa rappresentazione della decadenza. Quando finisce Italia Wave andiamo alla Snai.
Per il resto ieri si è fatto fatica a trovare altri fuoriclasse: da Joan As Police Woman ci si aspettava di più, perché una cantautrice come lei che volteggia in fraseggi intimi deve saper toccare dal vivo corde recondite che invece sono rimaste mute. Meglio quanto imbraccia la chitarra, deludente quando è al piano accompagnata da batterista e bassista. Bene “Real Life” in solitaria (con Infascelli che la riprende con telecamera privata).
Non si può assolutamente spendere tempo per gli Enter Shikari, come se i Sepoltura si mettessero a fare i dj. Cantato grind, vorrebbero forse essere i nuovi Prodigy in realtà riescono ad uguagliare solo gli Shit Disco, o meglio la prima parola degli Shit Disco. Per ben due volte dicono di venire da Londra: beh, tornateci.
Ci sono invece piaciuti, pur se assolutamente derivativi (Interpol), gli I Like Trains, solite cavalcate a cavallo con il post-rock però empatiche. Avremmo voluto invece aver avuto maggior empatia con la bassista dei Messer Chups, un duo inutile tranne che per rifarsi gli occhi. Zombie Girl infatti è una modella presa a prestito per suonare il basso, Betty Page in versione esteuropeo, una piccola sfilata che si è materializzata sullo Psycho Stage. Per il resto basti dire che sono dei russi che suonano del surf… si commenta da sola la cosa, no?