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21 luglio 2007 – La giornata
Lo dicevano i Bluvertigo, lo faccio anch’io. Io odio (di Italia Wave): Federica Gentile, la presentatrice del Main Stage che strilla e urla come in preda ad una crisi isterica. La trasmissione “Okkupati” l’avrebbe dovuta guardare invece che presentare così se ne trovava un altro, di lavoro. Secondo me la odia anche Mixo.
Odio la Tuborg a 5 euro: Tuborg, tu mi turbi sempre più. Il polverone del main stage: basta che un paio di persone inizino a saltellare in preda ai Leningrad di turno che partono dei segnali di fumo indiani che poi non sai più qual è il fumo che è sparato sul palco e quello che proviene dalla terra battuta dove sta il pubblico. Poi c’è un altro fumo del pubblico ma questo è un altro discorso. Le zanzare di Osmannoro, modificazioni genetiche sfuggite dai laboratori di Jurassic Park.
Non odio ma non capisco le enormi pause tra i gruppi nei vari palchi, che ti costringono a girovagare continuamente. Ah, forse perché se ti viene sete c’è poi sempre la Tuborg. Odio l’elenco dei tag nell’editoriale della guida tascabile, specialmente alcuni passaggi tipo “il 67, il 77, il 2007, funzionari Zero? funzionanti?…”. Eh no, non ci va.
Invece: amo lo Psycho stage nel tardo meriggio, con l’aria di svacco per la pennichella lunga. Le ragazze di Italia Wave: se le amo tutte checce posso fa? Anzi, facciamo che tutto quello che non odio di Italia Wave lo amo, è vero, è così. Anzi odio più fortemente certe cose perché amo fortemente questo simpatico Festivalino.
Entriamo nel merito: è stata quasi commovente la performance di Vinicio Capossela, chi come me non lo vedeva dal vivo da cinque/sei anni è rimasto basito dal cambiamento dell’impostazione della band con Mac, theremin e lui che non è quasi mai al pianoforte. Ha seguito l’evoluzione che è stata anche di Tom Waits, ok, però non è facile cambiare tutto ed essere ancora pienamente se stessi. Ogni canzone, una maschera: corna bovine, medusa, corvo, centurione. Sempre più istrionico, sembra quasi mistico (non a caso aveva una maglietta con la Madonna) e sciamanico. “Ovunque proteggi” è stata da groppo in gola.
Fino a quel momento il Main è stato tutto più o meno sullo stesso piano musicale, folk e baracca. Ad esempio con i Leningrad, un impressionante gruppo che più che 14 (!) musicisti hanno le facce di 14 ex galeotti russi, con tanto di enorme enorme uomo armadio, pelato come una boccia da bowling, che non imbraccia nessun strumento che tanto la sua funzione è solo quella di fracassare sedie ed aprire lattine di birra spaccandosele sulla testa (!!!). Questi qua in Russia invece che trovarsi al bar a bere wodka si ritrovano in sala prove per suonare… e bere wodka. Tipica musica esteuropea la loro, però varia e talmente coinvolgente da creare interminabili capannelli di pogo nel pubblico.
Anche i Figli di Madre Ignota (Milano) e i Cappello a Cilindro (Lazio) hanno offerto discrete prove, mentre Roy Young, che si crede la reincarnazione precoce di James Brown, si segnala per la peggior cover di “Everybody Hurts” dei R.E.M. che si sia mai udita sul suolo terrestre.
Allo Psycho serale si è apprezzata la voce alla Mark Lanegan di Black Eyed Dog, che deve però registrare i suoni perché la chitarrina e il pianoforte erano così leggeri da essere inconsistenti, e – come sottofondo – il rockabilly degli Hormonauts che hanno sezione ritmica impressionante ma che potrebbero sembrare un gruppo da cover e basta.
Ultima menzione, ma significativa, per i norvegesi Datarock che partono malissimo come un gruppo hip-hop qualsiasi (tutti e cinque con le tute rosse personalizzate!) però poi imbracciano gli strumenti e vanno dalle parti dei Talking Heads e di un punk-electro-rock postmoderno, per dirla alla Tondelli, dove tre e quattro idee valide ci sono. Un pezzo notevole è “I Used To Dance With My Daddy”.
Tomorrow is the last day.