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Mi piace pensare a Ben Harper come lo vidi nel documentario “Pleasure + Pain”, testimonianza di un momento immortalato alla perfezione da “Live From Mars”. Mi piace pensarlo al picco della sua carriera.
Certo, da noi non era ancora davvero famoso come all’estero, ma riusciva a piazzarsi con dignità nella tradizione dei cantautori intensi, veri, sinceri,.. e che a queste caratteristiche fondamentali riusciva ad unire la non meno importante dote della scrittura.
I viaggi sono stati tanti e l’hanno portato nei territori del reggae, del funk, del gospel, del soul, alla ricerca di radici e di nuove ispirazioni. Sempre con un’incredibile dignità.
Ma oggi, dopo le già poco esaltanti prove di “There Will Be A Light” e “Both Sides Of The Gun”, pare proprio che il caro vecchio Ben abbia perso qualcosa per strada.
Credetemi, per me é un vero dispiacere dover definire i suoi dischi semplicemente come “carini”. Come qualcosa che ti fa compagnia in sottofondo mentre in realtà ti stai facendo gli affaracci tuoi. Perché è questa la verità: Ben Harper non riesce più a graffiare, non riesce più ad attirare la mia attenzione, non é più capace di svegliarmi dal torpore ma, anzi, mi ci butta dentro senza troppa vergogna.
E pensare che una volta, con poche note essenziali ma uniche, sapeva esprimersi come il migliore dei cantautori. Oggi, con una formazione degli Innocent Criminals allargata, gli arrangiamenti dovrebbero aver acquisito uno spessore inedito… e invece no. Diamo pure stupidamente colpa al successo commerciale (molto relativo, a dirla tutta, dato che a parte il Belpaese, Ben ha da sempre avuto un gran seguito); diamo pure colpa al matrimonio con Laura Dern, all’amore, ai figli, al focolare; prendiamocela con i brani sentimentali che scavalcano le storie di negri ammazzati.
La verità è che tutte queste cose ci sono sempre state.
E allora forse è questo il motivo: ha mostrato definitivamente la corda. Passi un disco. Passino pure due dischi. Ma al terzo, non posso più considerare la bellezza della persona in questione per parare il culo alla musica che non c’è. Perché “Lifeline” è sempre la solita storia. Ogni singola nota di questo disco è già stata suonata, assimilata, apprezzata, e pure superata.
Ci sono tutte le sue ballate intense (“Fight Outta You”) o funkeggianti (“In The Colors”) o struggenti (“Younger Than Today”) o quelle che vorrebbero essere la nuova Diamonds On The Inside (“Having Wings”). E ci sono i pezzi funk ma senza esagerare come “Say You Will” e l’immancabile rivisitazione dei Black Crowes (“Needed You Tonight”) che è ormai diventata una tradizione.
La voce di Ben cerca naturalmente l’intensità, questo è vero. È una dote che le sue corde vocali sfoggiano senza troppi problemi, cercando di toccare quei punti sensibili nell’animo dell’ascoltatore. Però può anche succedere di mancare il bersaglio, soprattutto adesso che conosciamo a memoria tutti i suoi trucchi. Quasi quasi ci riesce con il vibrare della sua Weissenborn in “Paris Sunrise #7” e la successiva “Lifeline” – fin troppo facilmente fra i pezzi migliori – ma la verità è che alla fine delle undici tracce ben poco è rimasto oltre ad un neanche tanto sottile strato di noia.