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Non bisogna stupirsi poi troppo se intorno all’esordio dei veronesi Canadians si sia andata addensando la nube fitta di un’attesa sempre più impaziente. Il curriculum della band parla da solo e vale più di qualunque altisonante biglietto da visita: titolare di un ep, “The North Side Of Summer”, autoprodotto nel 2005, vincitrice dell’edizione 2006 dell’Heineken Jammin’ Festival Contest, inserita da NME (nel bene e nel male uno dei più letti e importanti periodici d’informazione musicale a livello mondiale, e sottolineo mondiale) al secondo posto nella rubrica “NME Breaking bands”, vincitrice del “Myspace Contest 2007” (cliccatissima la sua pagina myspace, che conta più di 100000 plays) che ha visto la partecipazione di 220 bands e, come se non bastasse, freschissima di esibizione al festival Overthrow di Liverpool, dove la band ha avuto modo di suonare presso i locali Cavern Club e Cavern Pub. Se non è questa la band italiana del momento, davvero poco ci manca. A completare l’opera arriva adesso l’esordio sulla lunga distanza per i Canadians, poeticamente intitolato “A sky with no stars”, prodotto dalla stessa band con l’aiuto fondamentale di Matteo Cantaluppi nello studio di registrazione Jungle Sound di Milano e recante il sempre più prestigioso marchio delle edizioni Ghost Records di Varese (distribuzione Audioglobe).
A questo punto suonerebbe come un imperdonabile eccesso di buonismo aggiungere che l’album è molto buono, ma tant’è. I Canadians hanno infatti dalla loro apprezzabili doti di scrittura e una spiccatissima attitudine pop che vanno a legittimare appieno i numerosi e importanti riconoscimenti finora ottenuti. Il suono della band nel suo complesso si rifà a certe sonorità tipicamente americane di marca Pavement, come si palesa già a partire dall’iniziale ed eponima “A sky with no stars”, distesa su una tenue linea melodica che si lascia sgretolare da chitarre scarmigliate e leggermente sbilenche. Ancora più convincente e piacevole “15th August” che chiarisce in modo se possibile piú preciso le coordinate musicali del progetto dei cinque veronesi, improntato ad un intelligente e personale recupero di atmosfere “indie” (utilizziamo questo termine da molti aborrito con tutte le cautele di questo mondo e nella sua accezione più generale), rideclinate all’interno di un pop rock chitarristico, dalle solide trame melodiche e sempre molto orecchiabile. A venire in mente sono soprattutto Grandaddy, Weezer, Yuppie Flu, Fountains Of Wayne, Dead Cab For Cutie, a tratti Shins, soprattutto per il frequente ricorso a ritornelli in coro dal retrogusto vagamente psichedelico e anche per gli ariosi arrangiamenti, spesso impreziositi dalla presenza di tastiere dolciastre.
Uno dei principali nuclei tematici del lavoro sembra essere costituito dall’estate, motivo evocato fugacemente (nel senso che a mio modo di vedere quello che si scorge è il ritratto mosso e ventoso di un’estate già in fuga) sin dalla copertina del disco e presente in alcuni titoli delle undici canzoni che ne fanno parte. Come suggerito però dall’illuminante “The north side of summer”, i Canadians sembrano attraversare l’estate (e il suo mito) passando per il versante più “settentrionale”, trascinandosi lungo il lembo più estremo, solitario e rarefatto delle illusioni e dei ricordi estivi, cantati e raccontati da una prospettiva quasi “autunnale”. Se si leggono e riordinano i vari e frammentari riferimenti nella direzione di questo sentiero interpretativo (ma altri sarebbero possibili) finisce con l’essere quasi inevitabile che un album di questo tipo sia stato pubblicato proprio in settembre, che più che un mese è una frontiera stagionale o un confine sottile e indeciso (per questo spesso fosco e nebuloso) tra due momenti separati dell’esistenza. Un lavoro dunque, questo dei Canadians, che oltre una superficiale scorza di pop cantilenate, risulta essere accarezzato da quell’uggia irrisolta così irrimediabilmente settembrina, che porta ad esempio la progressione strumentale (molto Mogwai) della conclusiva “Good news” a suonare quasi come il frangersi di onde fredde e bluastre sulla sabbia di una spiaggia (e di una giovinezza) ormai disabitate. Allo stesso modo “Summer teenage girl” si richiude sul suo giro di accordi in levare come una fila di sdraie a righe diligentemente ripiegate e accatastate in un angolo, mentre “Find out yor 60’s”,così come in fondo anche “Out Of Order”, parla il linguaggio trattenuto di chioschetti con le finestre chiuse lungo un litoranea poco trafficata, senza dimenticare poi la già citata “North Side of summer” (in cui si avverte un legame con Giardini di Mirò e Settlefish) e le sue cadenze ritmiche sottili e pungenti come invisibili aghi di pioggia o iodio amarognolo.
I Canadians confezionano così una sorta di elegia o, come loro stessi suggeriscono, una “Ode to the season”, grazie ai colpi precisi di uno scalpello indie pop puntuale e versatile, assemblando un juke box di estati trascorse e spiagge passate forse per sempre, che potrebbe facilmente tramutarsi in un probabile passaporto per ribalte internazionali.