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Sarà che anche in Italia siamo stati contagiati dal morbo della next big thing, ma non succedeva da molto tempo che una band avesse tutta questa attenzione con un solo ep alle spalle. E invece, in un solo mese, due gruppi si trovano nella stessa situazione: i Canadians da una parte, i Les Fauves dall’altra. Entrambi coccolati dalla stampa e trasformati in icone indie con la benedizione dell’NME, mentre intanto si sono fatte le ossa su qualunque palco esistente.
Percorsi paralleli ma diversi; se i Canadians inseguono ombre di Weezer e Grandaddy, i Les Fauves deviano verso canzoni ritmiche e nervose, con più di un piede negli anni ’80: “N.A.L.T. 1” sa di provincia inquinata e ricca, annoiata e riottosa, con titoli da ragazzini che invocano sacrosante “Boms in the SIAE”.
Eppure, come un vecchio diesel che non ha troppa voglia di uscire dal garage, il disco fatica a partire. Potrebbe farlo, ma preferisce bofonchiare la lezione inglese imparata negli ultimi anni, adagiandosi su schemi di basso e batteria (come se i Maxïmo Park cercassero di suonare come i Cramps, infossando la voce tra gli strumenti come nei momenti più belli dei Jesus And Mary Chain) ma non funziona: è tutto troppo educato e ripetitivo, non c’è nessuna sporcizia, è un compitino mandato a memoria.
E si continua così fino a metà disco quando, di colpo, tutto cambia: l’organo e il basso saltellante di “Novara” mi fanno saltare dalla sedia, “No spaghindie” strappa risate e danze scomposte, e da lì in poi è un trionfo di ritmi e tastiere destabilizzanti, fino al valzerino lo-fi di “The Heroin Melody”.
Stavamo per scendere dalla macchina, stanchi del suo rifiuto di avviarsi. E avremmo fatto un errore, perché avremmo abbandonato una band che ha talento e personalità per non rimanere ferma (le differenze dall’ep “How our dildo can change your life” sono già molto evidenti) e per ridere di se stessa. Non male davvero, per essere un inizio.