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Il nuovo album di Stefano Giaccone, Come un fiore, è “un gruppo di canzoni, da me suggerite e promosse, sulla morte…È il messaggio raccolto con entusiasmo e talento da musicisti a me vicini (tra gli altri i cuneesi Airportman, il fido compagno Dylan Fowler, Tomi e Gigi dei Perturbazione) per affermare la nostra insaziabile voglia di vita, di futuro, di giustizia e dignità per tutti.” Un lavoro a più voci, registrato in luoghi e tempi diversi, con il cantautore di origine torinese a fare da guida per il progetto.
Chi già si scoraggerebbe leggendo del tema scelto avrà la tentazione, ad ascolto avvenuto, di accantonare “Come un fiore” senza ulteriori ripensamenti perché eccessivamente triste. Ma vorrebbe dire ridurre a semplice concept album un lavoro che sì non ha nulla di complicato, ma che è caratterizzato da una profondità assolutamente invidiabile: “Come un fiore” affronta il soggetto attorno a cui si snoda senza compromessi o edulcorante, e le canzoni, pur partendo dalla medesima premessa, esplorano molti territori diversi e lontani tra di loro. In più, per mettere ancora di più le cose in chiaro, non ha nulla di decadente o fatalista.
I dieci pezzi che lo compongono scorrono senza fretta, e, anche nei passaggi più oscuri come la titletrack, fanno pensare a un dolce e ipnotico epitaffio. Come se un cantautore rock suonasse al funerale del suo migliore amico musicando una poesia di Emily Dickinson. Come se la storia di affetto fraterno raccontata in “Mio fratello minore” si svolgesse già sottoterra. Come se Giaccone avesse chiamato a collaborare anche un Edgar Lee Masters che ha ascoltato tanto Guccini, ha imparato a suonare il piano da Nick Cave e la chitarra dai folksinger inglesi del passato e del presente (gli ultimi rappresentati dal Chris Wood qui omaggiato in “Albion”, seconda cover dopo “Adesso sì” del compianto Sergio Endrigo). Come se il sax che impreziosisce la delicatissima “Cielo” venisse dall’inferno stesso per dirci che morire non è neanche lontanamente come lo immaginiamo, per colpirci al cuore con una verità tanto amara quanto necessaria.
“Come un fiore” possiede una grazia inaspettata, dal momento che tratta un argomento così (per forza di cose) funereo. È coerente ed equilibrato, attraversato da un’inquietudine appena accennata, che serpeggia ma non si palesa mai. Graffia senza urlare, trafigge senza neanche sguainare la spada.
Si tratta di più di un disco bello e basta: è un atto di semplice e sincero coraggio.