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“Un concept album sulla vita notturna, realizzato in collaborazione con il quartetto strumentale degli Eterea Postbong Band”.
AHA! Un concept album! Anche gli Uochi Toki, dunque, possiedono ambizioni? I seguaci del “vivi nascosto” allo sporco servizio della rima? I nichilisti dell’anti rap alla ricerca di testi costruttivi e lineari? E la con collaborazione con il quartetto strumentale, come la mettiamo? Non ascolteranno “OK computer”, gli Eterea, ma sono pur sempre dei fabbricanti sonori! Quindi, cos’è, chi lanciava stilettate feroci contro la comune concezione sociale delL’Estetica oggi cede arreso alle lusinghe del Bel Suono?!?
Al solito i comunicati cronacali, nel loro essere anonimi, dicono tutto e non dicono niente. Si (ri)cominci allora con il dire che la vita notturna di cui si parla altro non è che un’incursione dei nostri Eroi nel dorato mondo delle Discoteche trendy, stromabazzata come una storia vera ma più probabilmente il frutto dell’ennesima cabalizzazione: da questo la giustificazione per la ballabilità delle basi. E si prosegua chiarendo che la voce fastidiosa di Napo si rende riconoscibile solo in Medias Res: i siparietti d’ambiente precedenti, come quelli che seguiranno fino ai titoli di coda, sono a cura esclusiva degli Eterea. Per tutto il disco i quattro cercheranno di narrare i fatti come farebbe il fratellino scemo e silenzioso dei Toki: niente parole, soltanto mimica musicale e mimetica postbonghica ispirata a luoghi e personaggi. I maggiori invece, che la favella l’hanno e l’usano altroché, ce la contano a modo loro: “i rappers hanno il compito di parlare e ragionare” (…e vallo a spiegare ai Club Dogo!). Quindi si accenda la miccia del ragionamento e… si salvi chi può! Perché la sola attività per cui il rutilante mondo dell’intrattenimento dei club non è programmato è proprio quella intellettuale: pigiare il pulsante del Raziocinio all’interno di una discoteca equivale a farla saltare in aria, con tutto il suo sistema distrazionistico collaudato e applicato fin dai tempi di Tony Manero.
Ad uscire con le pive nel sacco non sono soltanto i protagonisti, partiti per distruggere e fagocitati essi stessi dalla macchina dello Sballo, ma anche la logica sabatoserale in sé, scomposta e analizzata a cuore aperto. Sul pavimento, o meglio, sul dancefloor giacciono i resti esanimi di atteggiamenti fichi, i brandelli grotteschi del percorso disco-kebab-domenicamattinatardi in tutto il suo squallore modaiolo. Il concept su “la vita notturna” de “La chiave del 20” allora non è altro che questo: un’impietosa panoramica sulla vera e unica strage (morale) di qualsiasi Sabato sera.