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Il pop è un’arte che vive rimasticandosi; una complessa rete di citazioni e riferimenti, travestiti sotto abiti spogli e ruvidi.
Solo così un’arte in apparenza povera riesce a sopravvivere: rendendosi appetibile alla massa proprio mentre strizza l’occhio ai suoi adepti più devoti.
Eddie Argos, il leader degli Art Brut, sa benissimo tutto questo: la sua musica – soprattutto nel nuovo album, “It’s A Bit Complicated” – è un gioco intellettuale che ha il pregio di essere trascinante, irresistibile, consapevole del suo piglio artistoide.
E diversa da tutto il resto. Basta guardare le foto di Eddie: gli stylish kids in the riots del pop britannico di questi anni sono ragazzini smunti dalla faccia triste e con le magliette a righe? Lui è paffutello, con un paio di baffi da signorotto di campagna e sfoggia la sua goffaggine con un vero spirito punk. E, soprattutto, ride.
Ride di sé e del successo che sta avendo, come se non si desse troppo peso. E parla, mitragliando parole a una velocità impressionante, con lo stesso terribile accento che usa nelle sue canzoni.
Sbobinare quest’intervista è stata un’impresa titanica: registrazione pessima, e un interlocutore dalla parlantina accelerata. Cerco di rallentare la riproduzione del file, e il nostro dialogo si trasforma in un canto d’amore di balene.
Ottimizzato faticosamente il file audio, questo è quello che ne è uscito.
[L’intervista, realizzata a giugno 2007, sarebbe dovuta uscire sul numero 8 di “Sonic Magazine”, mai uscito in edicola per decisioni dell’editore, ed è stata parzialmente pubblicata anche sulla webzine “Emotional Breakdown”. Questa è la versione integrale: ringraziamo la redazione, e in particolare Marco Aspesi, per la disponibilità]
Ho letto nel blog che tieni sul Guardian che la promozione del nuovo disco è stata parecchio intensa, e che la tua ragazza ti diceva che rispondevi alle domande dei giornalisti anche durante il sonno…lo fai ancora?
No, al momento sono in tour, quindi non sto dormendo poi così tanto…(ride, NdR)
Come stanno andando i concerti?
Bene, molto bene, direi. E le nuove canzoni stanno piacendo moltissimo: è strano, perché la gente conosce già a memoria le parole delle nuove canzoni, anche se in teoria l’album non è ancora uscito…
[È il potere del download, Eddie…]
Qual è la tua impressione su “It’s A Bit Complicated”? La prima impressione è che suoni più pop di “Bang Bang Rock ‘N’ Roll…” Sei d’accordo?
Sì, anche se in realtà, quando ci siamo trovati a scrivere delle cose per il nuovo album perché eravamo stanchi di suonare le vecchie, non ci siamo seduti lì a dire “Ok, facciamolo più pop”. Ma sì, alla fine è questo che ne è venuto fuori.
Leggendo i testi, si ha l’impressione che nel primo disco ti riferissi più alla parte adolescenziale della vita, e che ora tu stia iniziando a guardare l’età adulta: è così?
Beh, credo sia normale, perché all’epoca del primo disco raccontavo tutto quello che era successo fino a quel momento e sembrava che avessi 19 anni…ma non sarebbe stato giusto continuare a parlare di quello, no? Forse adesso l’impressione che do è che io abbia 21 anni e stia invecchiando (ride, NdR)
Te lo chiedevo perché in “Late Sunday Evening” canti cose come «You were sick, now you’re better, there’s work to be done» e sembra una frase da adulto responsabile…
Beh, sì, ma a dire la verità ho scritto quella frase il giorno dopo una festa, e mi ero alzato con un mal di testa clamoroso…era come dire a me stesso “non ti preoccupare, starai bene…” (ride, NdR)
«Ma adesso datemi un po’ d’acqua…»
Sì, esatto… (ride, NdR)
Quella frase, però, è anche una citazione di Cronosisma (il titolo originale è Timequake, NdR) di Kurt Vonnegut, no?
In effetti sì, e sei il primo che se ne rende conto.
Ti capita spesso di inserire citazioni dai libri?
Non così spesso, no. Ma io adoro quel libro, e alla fine anche quello fa parte della cultura pop. E io parlo di pop, perché è di pop che è fatta la mia vita.
[Eccoci qua, la parola magica è saltata fuori. Pop. E non si tratta solo di musica: per una band che prende il nome da un movimento pittorico, il pop è qualcosa di molto più ampio del mondo delle note, così come, per moltissimi musicisti, Fall, Modern Lovers e Pixies non sono stati un’influenza meno importante di moltissimi scrittori, da Raymond Carver in poi.
Dagli anni ’80 in poi, tutta la narrativa contemporanea americana respira la stessa aria dell’indie-rock: Rick Moody, Dennis Cooper, Jonathan Lethem, Don De Lillo…
È come se, nella stanza di un musicista, non potessero più mancare né una chitarra elettrica malmessa né una copia intonsa dell’ Infinite Jest di David Foster Wallace.]
A proposito di pop, molte canzoni di “It’s A Bit Complicated” hanno titoli che danno l’impressione che si andrà ad ascoltare un disco di cover, ma in realtà non è così…come mai?
Stavo scrivendo “I Will Survive” e avevo deciso di darle quel titolo, quando il nostro manager si avvicina e dice “Eddie, c’è un’altra canzone che si chiama “I Will Survive”…(ride, NdR) È la canzone di Gloria Gaynor! E io: “Oh, merda…”
Poi però, alla fine, il titolo mi piaceva, si adattava bene a quello che stavo cantando, e così è stato anche per altre canzoni, quindi credo che in fondo sia un bell’omaggio. E così mi sono detto “fanculo, io li tengo” (ride, NdR)
[“La prima volta che io e Terry abbiamo scopato, lei aveva 15 anni, io 16, Tom Waits 29…L’avevo conosciuta pochi mesi dopo aver scoperto Jungleland di Springsteen. Mi era apparsa come nella canzone…Ci vollero due mesi prima che la situazione evolvesse. Fu lei ad avvicinarmi: «Ti andrebbe di vedermi nuda?» Mi andava. «Spero tu abbia il disco adatto», disse Terry, una volta entrati in stanza…Dopo lunghe e pensose valutazioni, decisi di andare sul sicuro: Blue Valentine. Quando partì Red Shoes By The Drugstore, Terry sorrise. Io gongolavo. Scelta perfetta. «Louis Armstrong, vero? Mio padre lo adora», disse.
(da Hobo – una vita fuori giri di Massimo Cotto, ed. Riuniti)
C’è una scena simile, proprio all’inizio di “It’s A Bit Complicated”. In “Pump Up The Volume” lui si stacca dalla ragazza che sta baciando: lei non ha riconosciuto la canzone alla radio. «Ci siamo spogliati, e tu tieni le scarpe per sembrare più alta. E non posso dire di non gradire il bacio, ma ho il sospetto strisciante che tu non stia ascoltando. Lo so che non dovrei, ma è così sbagliato staccarmi dal tuo bacio per alzare il volume?»
Il fatto è che, nelle canzoni degli Art Brut, la musica è ovunque.
Il pop serve perfino a imparare le lingue straniere, come in “St.Pauli”, dedicata allo storico quartiere di Amburgo: «Scusate se il mio accento non è corretto, ma ho imparato il mio tedesco da un 7-inch record: punk rock ist nicht tot!»]
In molte canzoni nuove, come “Nag Nag Nag Nag” o “Sound Of Summer”, citi spesso l’audiocassetta. Mi ricorda quando tutti facevamo le cassettine per gli amici…ti manca molto?
Sì, assolutamente…e non è proprio la stessa cosa con lo shuffle dell’iPod o con il masterizzatore, no? C’era un’attenzione diversa, potevi curarle, dovevi stare attento a non fare passaggi troppo bruschi, o a non troncare una canzone alla fine del lato…
Se posso, me le faccio ancora, e le ascolto quando vado a camminare…
È buffo, perché in “Grindhouse” di Tarantino uno dei personaggi a un certo punto dice “Non ti ho masterizzato un cd, ti ho fatto una cassetta”. Magari tornano fuori…
Davvero? Cool…non l’ho ancora visto…
[Eppure io, Eddie e Quentin abbiamo perso. Qualche giorno dopo quest’intervista, dall’Inghilterra è arrivata la notizia che HMV non venderà più audiocassette vergini. È la fine. Addio mixtapes, addio vecchie autoradio, addio walkman. Adieu.]
Nella tua biografia leggo che sei ossessionato da Jonathan Richman e da Van Gogh…É abbastanza facile capire il perché parlando di Richman: entrambi cantate storie in prima persona, che sembrano lette da pagine di un diario…
Ma…Van Gogh?
È semplicemente una passione. Lo adoro, ero letteralmente ossessionato dalla sua storia, dai suoi colori dorati, da quello che dipingeva, dalla sia follia…Lo adoro, tutto qui.
La maggior parte delle recensioni del vostro “Bang Bang Rock ‘n’ Roll” parlavano dei Fall. Curiosità: nell’ultimo disco dei Fall c’è una canzone, “Fall Sound”, dove Mark E. Smith sbraita contro tutti quelli che hanno copiato il suo suono. Ti sei sentito chiamato in causa?
Davvero? Non l’ho sentita…carino, però! (ride). All’inizio mi sembrava strano che ci paragonassero ai Fall, perché io davvero non li avevo mai ascoltati…Ma poi, beh, ho capito perché: io non so cantare, e lui nemmeno. Quindi ecco perché…
Però hai fatto un gran lavoro nel nuovo disco…
Grazie mille…dici che sto imparando? (ride, NdR)
Quindi, per il futuro…lezioni di canto?
No…no way! (ride, NdR)
Anche senza lezioni di canto, il futuro degli Art Brut sembra radioso, e lontano dalla outsider art creata in solitudine, lontana dai meccanismi atroci dell’industria culturale e fatta di impulsi creativi puri che teorizzava Jean Dubuffet. Al contrario: con la sua arte povera, Eddie Argos sguazza nel pop felice come un bambino durante il bagnetto.
Sa che la sua musica è un gioco, e sa che potrebbe non durare, ma dalla sua infinite fonti da cui attingere: in fondo, lo scopo è pur sempre quello di arrivare a Top Of The Pops, anche se la BBC non lo trasmette più.
E allora, tanto vale divertire con intelligenza. Non è questo, forse, il segreto della migliore pop music?
(Daniele Paletta)
19 dicembre 2007