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Carnalità. Più dei moti del proprio animo, le nuove canzoni di Paolo Benvegnù indagano il rapporto a due, l’ossessione, il deludersi, il ritrovarsi. È cambiata la band che sta dietro a queste canzoni, per dare loro suoni più densi: il pianoforte è praticamente scomparso, l’atmosfera è di nuovo elettrica. E le melodie eteree, di rinascita, che vestivano i suoi “Piccoli fragilissimi film”, ora sono diventate più passionali, più fisiche.
È l’immagine di copertina a suggerirlo, con il suo rapporto sessuale trasfigurato (come nel video di “Pagan poetry di Björk, ricordate? Passione esplicita eppure immaginata) tra due corpi senza volto. La batteria colpisce, secca, ne “La distanza”, le chitarre si accendono di nuovo e raccontano l’impossibilità di avvicinarsi veramente a un’altra persona: «Tu da me non avrai che l’assenza / quello che ti resta è / la distanza». Il sentimento è precario, inutile analizzarlo. Meglio renderlo teatrale, parossistico, crudele: «Tutto quello che faccio ha un costo / lo sto pagando / Ma tu vuoi la verità, la novità / la novità, la verità fa male», canta Paolo in “Hungry thirsty”. Parla d’amore? O della difficoltà di una vita che continua a darti spallate, che toglie poesia ad ogni attimo?
Lo sguardo è lucido, e crudo. Ma serve solo a dare ancora più luce ai pochi attimi di romanticismo assoluto:, “Nel silenzio” è talmente bella, così sospesa tra amore totale e abbandono, da farti pensare che, se qualcuno ti lasciasse usando queste parole, potresti non dimenticarlo mai più.
Come sempre, non è facile parlare delle canzoni di Paolo Benvegnù senza lasciarsi trasportare dall’emotività: accadeva con gli Scisma, accade ora. Ma a volte questa ipersensibilità esce dal controllo, si fa eccessivamente teatrale (“Cosa sono le nuvole” di Modugno, cantata debordando come farebbe Nada con un tradizionale toscano) o cercano deviazioni stranianti e inutili (“Lo spazio irregolare”).
Poi, annuncia lo splendido libretto, «Ora, rimangono solo le labbra»: si chiamerà così l’album in uscita a febbraio. Lo aspettiamo, questa volta un po’ meno folgorati del solito da quello che abbiamo ascoltato.