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Ci sono cose che non si dicono con le parole. Bastano sguardi, titubanze, ammiccamenti. Alle volte le persone comunicano di più in questa maniera, soprattutto quando i momenti sono topici. E’ l’importanza del non detto, del non sbattuto in faccia, che ci invita a valutare le cose importanti anche da quello che aleggia sopra, che non è direttamente percepibile.
Allo stesso modo, per “In Rainbows” CD2 si impone di affrontare, prima di tutto, le tracce 1 e 4, “Mk 1” e “Mk 2”, due momenti atmosferici che danno il senso della seconda parte dell’ultima fatica del gruppo di Oxford. Posizionati, badate bene, non in mezzo come fu per “Treefingers” in “Kid A” per dare un momento di calma e rifocalizzare le orecchie, ma inseriti strategicamente all’inizio e poi di nuovo a metà quasi a voler dettare loro i ritmi e i tempi del disco (sul finale diremo poi).
E sono tempi arretranti, dubitativi, raggomitolati su loro stessi. Aleggia il plumbeo, aleggia la difficoltà, “In Rainbows” CD2 è indubbiamente malinconico. Altra medaglia della parte ufficiale, dove il tutto trasuda naturalezza, voglia di vivere, dove si intravedono le spiagge di Copacabana (si sta esagerando, of course!). E’ chirurgica l’operazione di selezione che i cinque di Oxford hanno operato sulla scelta dei brani per far emergere una personalità ben distinta a “In Rainbows” CD1, e ora è ancora più chiara e lodevole. Le canzoni di “In Rainbows” CD1 trasmettono la positività della musica suonata insieme, mentre “In Rainbows” CD2 potrebbe essere definito “un disco solista di Thom Yorke non elettronico”. I brani paiono arrangiati poco dagli altri quattro, che si sono evidentemente concentrati sul “bright side” e hanno delegato al frontman il “dark side”. Ci sono indizi in questo senso: andarsi ad ascoltare la versione ancora presente su Youtube di “Down Is The New Up” per le “From The Basement Sessions 2006”: è praticamente identica alla attuale, solamente nel CD2 si è aggiunta una batteria (a dire il vero non particolarmente ispirata, che lavora per inserti oltretutto…) e un po’ di archi. Troppo poco per dire Radiohead. Oppure concentrarsi su “Up On The Ladder”, giocata quasi tutta su un accordo come fu per “The Clock” in “The Eraser” (evidenti sono le vicinanze melodiche strutturali) e su una groove box poverissima con semplice cassa continua + synth (siamo dalle parti del risultato finale della versione di “Jigsaw Falling Into Place” nel webcast “Scotch Mist”).
Insomma, lo ripetiamo, “un album solista di Thom Yorke non elettronico”, arrangiato dagli altri quattro e non da Niger Godrich, ma pur sempre disco non riferibile ai Radiohead nella sostanza nonostante sia a loro – e di questo bisogna prendere atto più che altro a dimostrazione della compattezza del gruppo – formalmente attribuito.
Inoltre: un disco di b’sides. Sono indubbiamente delle belle canzoni, sia chiaro (la dolcezza di “Go Slowly” su tutte) ma la domanda è: vi ricordate delle b’sides dei Radiohead brutte? Io no, e le ho tutte. La classica loro b’side è solo un po’ meno curata, con un po’ meno di personalità, lasciata a se stessa come un adolescente abbandonato dalla madre, ma melodicamente rigogliosa. E non parliamo poi dell’autoplagio del ritornello di “Last Flowers” con “Karma Police”, evidente anche ad un alunno del primo anno di Conservatorio, classico esempio di b’side per necessità Da-Autocitazione-Troppo-Evidente (“Prof! Prof! Ma allora i dischi di Ligabue sono tutti di b-sides?”).
Tiriamo le fila: un disco asfittico, si diceva, che si sussegue senza spiragli fino ad una sorpresa. Se “In Rainbows” CD1 si chiudeva con l’unica canzone disperata (“Videotape”) quasi ad anticipare le atmosfere del CD2, la seconda parte si conclude invece con la speranza, di nuovo. “4Minute Warning” ci riporta, con quel cembalo tranquillo e quella chitarra liquida, verso l’equilibrio, in direzione serenità, quella del primo cd.
Che album, “In Rainbows” CD1, eh?
(Paolo Bardelli)
14 gennaio 2008