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Quando Satana decide di vestire i panni dell’elettronica trova subito la complicità dei fratelli trombone e sassofono. Sembra questo l’assioma dal quale partono i Satan is My Brother, variegato quartetto milanese cui prestano due elementi gli Yellow Capra, in viaggio permanente sull’autostrada Milano-Torino durante una notte che non vuole mai schiarirsi per far posto al giorno. E la colonna sonora di questo trip ipnotico sfocia nelle tre composizioni dell’album.
Le tre tracce si basano su una struttura ripetitiva (reiterata in tutti e tre i brani) in cui l’elettronica stratificata di laptop e tastiere fa da preambolo alla resa dei conti, costruita con architetture free jazz dove basso e batteria sostengono ossessivamente i ricami dei fiati; preambolo e resa dei conti che si rincorrono senza mai congiungersi ma che si autoalimentano, si fagocitano, risorgono per riciclarsi e ripartire senza soluzione di continuità in un loop infinito di stranianti atmosfere metropolitane.
Il risultato ci restituisce la modernità di certi scenari sonori già esplorati dall’iperattivo Zorn e per certi versi dal suo discepolo Patton/Fantomàs, ma senza le schizofrenie, le urla e le esplosioni rumoristiche tipiche dei due deus ex machina. Un disco che vale certamente la pena di ascoltare, soprattutto perché è la dimostrazione di come, anche in Italia, si possa uscire, con buoni risultati, dagli abusati canoni dei pruriti indiepop.