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Mettere su questa compilation, nata con l’intento – evidente fin dal titolo – di riprendere delle chicche nascoste con piglio disco che il tempo ha galantemente rivalutato, mi fa venire in mente un pensiero, non troppo intelligente a dire il vero: quanta musica se ne passa e va senza lasciare traccia. Non è un giudizio di valore: scompare e non se lo meriterebbe o magari anche sì, ma si tratta di una semplice constatazione. “E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia” diceva il replicante, sapete tutti chi.
Magari è musica che dovrebbe essere citata quotidianamente dai posteri, può darsi che al tempo fu masticata da pochi proprio per la capacità anticipatoria di certi stilemi come può essere che fosse semplicemente musica brutta, chi lo sa. Quello che sappiamo è che “Disco Not Disco” ci gioca con questo dubbio, mette l’ascoltatore sul chi va là del “cavolo, ma lo facevano già allora!”. Ma, diciamolo subito, la bontà di qualcosa che ascoltiamo nel 2008 non può limitarsi a questo. E se leggerete da altre parti che questo volume (il terzo della serie, grazie alla tedesca !K7 che ha rilevato il catalogo Strut) è stata la pappa di tutta l’electro di oggi (o, meglio, di l’altro ieri), che riscopre geni incompresi seppelliti come Tutankhamon, beh, non credeteci.
La chiave di lettura non è nell’adesso, ma nell’allora. Gusta infatti mettere su “Disco Not Disco” perché ci si sente dentro quell’epoca: “My Spine Is The Bassline” degli Shriekback ci fa venire voglia di rimettere su “Sandinista!” e se fosse una canzone composta dai Clash sarebbe conosciuta come lo è “The Call Up”, “Seul Music” dei nipponici Yellow Magic Orchesta ha gli stessi suoni che usavano i Thompson Twins o i Tears For Fears (ascoltare “Everybody Wants To Rule The World”), il giro di basso di “Los Ninos Del Parque” dei Liasons Dangereuses potrebbe essere il fratello abbandonato all’orfanotrofio del giro di basso di “S-Expresse Theme” degli S-Expresse. Quegli anni, non questi.
Non mi appassiona dunque quest’ansia di dimostrare che oggi si rifà roba di allora, eccheccazzo, che bella scoperta!, è lapalissiano che tutto si ricicla e ormai si inventa proprio poco; anzi interpretando il progetto per quella via allora bisognerebbe invece notare che l’obiettivo zoppica vistosamente perché alcune canzoni appaiono datatissime e di un genere che oggi non si fila proprio nessuno, come ad esempio il prog-jazz degli Isotope con “Crunch Cake”.
Alla fin fine, chissenefrega se la !K7 voleva fare una cosa e ne è saltata fuori un’altra, l’importante è che sia valida ed ascoltabile, e lo è. Tanto c’è scritto a caratteri cubitali che sono dei “post punk, electro & letfield disco classics” degli anni che vanno dal 1974 al 1986, mica è un segreto.
Però notare: i soldi che si usano a comprare questo disco sono quelli correnti nel 2008, non nel 1974. Chi vuol intendere intenda.