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Difficilmente vi ricorderete degli Scanferlato, ed è un peccato: quel “Casual geometry” pubblicato dalla Toast sei anni fa era un esempio, breve ma bellissimo, di come Karate e Afghan Whigs potessero camminare assieme nello spazio di una canzone.
Molto tempo dopo, gli Scanferlato si sono dimezzati in Lato, e sembrano aver rinunciato alla parte più jazzata del loro suono: rimangono le chitarre dense e quasi mai violente, una delle poche voci degne di nota – quella di Filippo Pavesi – nell’afono e stonato panorama indie nostrano, e una voglia di mischiare le carte, canzone dopo canzone.
E’ difficile dire che cosa abbiano ascoltato i Lato prima di mettersi a suonare: si potrebbe ragionevolmente pensare che le loro copie di “The bends” siano consumate, e che il grunge sia stata per loro una stagione importante, e che certi sogni acidi non gli siano estranei. Ma dare riferimenti precisi no, quello non è possibile. Ed è un bene, una volta tanto, trovarsi davanti a una band che sa cosa dire, e sa come dirlo alla sua maniera: in “Feathers”, ad esempio, si passa dallo stropicciato glitch à la Notwist alle deviazioni scorbutiche e visionarie nel giro di pochi minuti, mentre “Live mildly” (dove compare anche Giovanna dei Kech) evoca scomposte scorribande di bambini con poche note di chitarra elettrica, come a unire Pavement e Breeders.
E non è tutto: c’è ancora tempo per il folk nervoso di “The ride”, per una title track vestita di archi (in cui la canzone si interrompe di colpo, come se avese paura di dire, di uscire finalmente dal buio), per la chiusa notturna del pianoforte di “Half empty/full”…Manca il colpo del ko, la canzone che ti faccia innamorare di loro: ma per questo, i Lato hanno tempo. Sperando che non facciano passare altri sei anni prima di rifarsi vivi.