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Dando una rapida scorciatina al loro catalogo, si potrebbe anche azzardare a definire Dente il primo (e finora unico) cantautore-Jestrai, dove Jestrai non indichi strettamente la realtà discografica attiva da una decina d’anni, ma stia in senso più lato, per un certo modo di intendere il concetto di “alternativa”: modo che, in corrispondenza con i dati anagrafici dell’etichetta, affonda le radici nei chitarristici primi novanta d’oltreoceano per poi proseguire su strade differenti, ma sempre mantenendo le dovute distanze dal Cantautorato Impegnato e da tutto il corollario della “musique du papà”.
Di recente qualcuno che dopo essersi sporcato le mani con chitarre e indie rock ha voluto tentare un qualche timido contatto con la canzone d’autore, ha trovato i giusti riferimenti nei nomi più a lato della scena: il Tenco meno classico, l’ormai riabilitato Rino Gaetano e soprattutto Lucio Battisti, tutte personalità che dal rigoroso Reame d’autore venivano spesso relegate alle periferie e che, forse proprio per questo, hanno fatto da corsie preferenziali per le nuove generazioni indipendenti, cresciute con meno pane e meno politica.
Armato di sola chitarra e comunque diffidente dalla seriosità e dall’epica che concernono la Parola Militante, l’anno passato Dente aveva dato alle stampe “Non c’è Due Senza Te”, quasi una parodia alla figura del cantautore: tre accordi appena spulciati, un assetto volutamente povero e una vena lirica che non ne vuole sapere di prendersi sul serio e perciò si prodiga in metafore basse e dissacranti, per stroncare qualsiasi ombra di poetica sul nascere.
Ne “Le cose che contano” la confezione stilistica è invece di gran pregio, non foss’altro per la presenza di alcuni dei più validi e attivi strumentisti sulla piazza (in testa il factotum Enrico Gabrielli, che ora milita negli Afterhours ma che già ha suonato praticamente dovunque e con chiunque). Un’interessante amalgama dalle sfumature blu-jazzate, appena una spanna al di sotto da dove la flebile voce di Dente sussurra le sue parole di ironia stralunata.
Quattro brani messi in croce e come filo portanfrte un unico tema che titola “Amore e Matematica”. Eppure si sa bene che non esistono equazioni per capire i sentimenti, ma Dente ci prova lo stesso e sfoggia la sua abilità da gioco(diparo)liere, ancora una volta al servizio della solita insolenza antiretorica: ogni parvenza romantica svanisce non appena si comprende che le uniche intenzioni dell’autore sono quelle di “dare i numeri” o di “fare numero” e restare in linea con l’argomento. Un’Operazione divertente, un gradevole Esercizio di stile anche per chi ascolta e in questo modo inganna l’attesa del giorno in cui Dente si farà le ossa ed arriverà a capire che, anche fuori dai giochi matematici, le parole possono “contare”, eccome.